Richiesta di parere al comune di Roma

Questo documento è stato inviato tramite email a tutti i rappresentati del comune di Roma (Sindaco, Assessore, Presidente della commissione Urbanistica, etc.) ed è stato inoltre consegnato pro mano durante una delle riunioni della commissione Urbanistica tenutasi ad Ottobre 2016 sul tema dei P.d.Z.

Nonostante i continui solleciti, non abbiamo mai ricevuto risposta!!!

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PREMESSO CHE

 

  1. I commi da 45 a 48 dell’art. 31 della Legge n. 448/1998, prevedono la possibilità per i Comuni di cedere in proprietà le aree comprese nei Piani di Zona approvati a norma della legge n. 167/1962, già concesse in diritto di superficie ai sensi del comma 4 dell’art. 35 della Legge n. 865/1971.
  2. Il comma 46 del succitato 31 prevede, in particolare, la possibilità di sostituire le Convenzioni di cessione del Diritto di Superficie (o del Diritto di Proprietà vincolata precedentemente all’entrata in vigore della Legge 179/1992), stipulate, ai sensi dell’art. 35 della Legge 865/1971, con le Convenzioni di cui ai commi 1 – 4 e 5 dell’art. 8, della Legge n. 10/1977 (in seguito all’abrogazione di tale art. 8 della Legge 10/1977, le Convenzioni dovranno essere regolate ai sensi dell’art. 18 del DPR 380/2001) per la trasformazione in Diritto di Proprietà del Diritto di Superficie, alle seguenti condizioni:
    1. Per una durata di 20 anni diminuita del tempo trascorso fra la data di stipulazione della Convenzione, che ha accompagnato la concessione del diritto di superficie (o del diritto di proprietà vincolata) delle aree, e quella di stipulazione della nuova Convenzione;
    2. In cambio di un corrispettivo calcolato ai sensi del comma 48 dell’art. 31 della Legge n. 448/1998.
  3. Con la Deliberazione n. 54 del 31 marzo 2003, il Consiglio Comunale di Roma, fra le altre cose, ha:
    1. Autorizzato, ai sensi dei commi 45 e 46 dell’art. 31 della L. 448/1998, la sostituzione delle Convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 35 della Legge 865/1971 e, per il caso di cessione del Diritto di Proprietà vincolata, precedentemente all’entrata in vigore della Legge n. 179/1992, con la Convenzione di cui ai commi 1 – 4 e 5 dell’art. 8, della Legge n. 10/1977 (sostituito dall’art. 18 del DPR 380/2001) alle essenziali condizioni citate in premessa (2);
    2. Approvato gli Schemi di Convenzione da utilizzare per la sostituzione sopra indicata, cioè per la “Trasformazione” in Diritto di Proprietà del Diritto di Superficie.
  4. La Deliberazione n. 94/2003, (“Determinazione prezzo di cessione delle aree da cedere in proprietà ai soggetti aventi i requisiti in attuazione dell’articolo 35 della legge n. 865/71 e relativo schema di convenzione.”) aveva stabilito che, in applicazione dell’art. 31 comma 48 della L. 448/98, nel determinare il valore di cessione delle aree in Diritto di Proprietà, si tenesse conto del principio secondo cui “il costo delle aree così determinato non può essere maggiore di quello stabilito dal Comune per le aree cedute direttamente in diritto di proprietà al momento della trasformazione di cui al comma 47”. Inoltre, la stessa Deliberazione, fra le altre cose, stabilisce che, per le Convenzioni dei PdZ antecedenti alla Legge 662/1996, ci sia un coefficiente di omogeneizzazione pari a 2, cioè il costo a mc della cubatura assegnata agli immobili non residenziali sia pari a 2 volte quello della cubatura assegnata agli immobili residenziali, mentre per le Convenzioni dei PdZ dopo l’entrata in vigore della Legge 662/1996 ci sia un coefficiente di omogeneizzazione pari a 1,3.
  5. La Corte di Cassazione nella sentenza delle Sezioni Unite n. 18135 del 16 settembre 2015 ha deciso che: “il vincolo del prezzo … OMISSIS … in assenza di convenzione ad hoc (da redigere in forma pubblica e soggetta a trascrizione), segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita.
  6. Con la Deliberazione n. 33 del 17 dicembre 2015, il Commissario Straordinario con i poteri dell’Assemblea Capitolina, fra le altre cose, ha:
    1. Disposto la possibilità di “Affrancazione” dei vincoli di prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative ai sensi dei commi 48, 49, 49-bis e 49-ter dell’art. 31 della L. 448/1998;
    2. Approvato lo Schema di Convenzione da utilizzare per l’eliminazione (“Affrancazione”) dei vincoli relativi al prezzo massimo di cessione già gravanti sugli alloggi realizzati in aree P.E.E.P.;
    3. Dato mandato agli Uffici di procedere all’adeguamento del contenuto dei vigenti schemi di convenzioni comunali, approvati con le deliberazioni Consiglio Comunale 173/2005, 31/2007 ed Assemblea Capitolina n. 60/2014.
  7. Con la Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, il Commissario Straordinario con i poteri dell’Assemblea Capitolina, fra le altre cose, ha:
    1. Stabilito i corrispettivi per l’affrancazione dal vincolo relativo al prezzo massimo di cessione e del canone massimo di locazione in percentuale al corrispettivo di cui al comma 48 dell’art. 31 della L. 448/1998;
    2. Approvato nuovi criteri e metodologie di calcolo delvalore venale” delle aree ricadenti nei Piani di Zona, elaborati da un gruppo di lavoro interno al Comune di Roma, da utilizzare come base per determinare il corrispettivo di cui al comma 48 sopra citato.
    3. Approvato i “valori venali” dei Piani di Zona risultanti dai calcoli secondo le metodologie di cui al punto precedente.

 

CONSIDERATO CHE

A. Le Deliberazioni n. 54/2003, di cui in premessa (3), e 94/2003, di cui in premessa (4), ad oggi, non sono mai state abrogate, e lo Schema di Convenzione sotto la lettera “B” della stessa Deliberazione n. 54/2003, non è neanche incluso fra quelli di cui è stato dato mandato agli Uffici di procedere all’adeguamento del contenuto per “l’introduzione di meccanismi deputati a dare esecuzione a quanto stabilito” nella Deliberazione n. 33/2015, di cui in premessa (6)c).

B.Lo Schema di Convenzione sotto la lettera “B” della stessa Deliberazione 54/2003 (il quale, da quanto sopra considerato ha, ad oggi, piena validità) è la bozza di Convenzione per la “Trasformazione in diritto di proprietà del diritto di superficie già concesso su aree del p.d.z…… …. ai sensi dell’art. 31 (commi da 45 a 49) della Legge 23 dicembre 1998 n. 448.” ed, all’art. 4 (che riguarda “CRITERI E MODALITA’ PER LA DETERMINAZIONE DEL PREZZO DI VENDITA E DEL CANONE DI LOCAZIONE DEGLI ALLOGGI”), prevede che: “Le limitazioni stabilite dal presente articolo avranno efficacia fino al ……………. (venti anni a partire dalla stipula della prima convenzione con la quale il Comune ha concesso il diritto di superficie alla Cooperativa/Impresa ). Scaduto tale termine non vi sarà alcun limite alla facoltà di disposizione e godimento dell’alloggio, né alcun obbligo nei confronti del Comune”.

A meno di non avventurarsi in interpretazioni fantasiose, la frase citata significa proprio che, dopo la scadenza dei 20 anni dall’originaria Convenzione di concessione del Diritto di Superficie, chi abbia sottoscritto tale convenzione sostitutiva, viene, automaticamente, liberato da qualsiasi vincolo relativo alla determinazione del prezzo di vendita e del canone di locazione. Pertanto, ad avviso dello scrivente, a tale Convenzione sostitutiva si può pacificamente assegnare il ruolo della “convenzione ad hoc” indicata nella seguente frase chiave della Sentenza n. 18135 del 16/09/2015, di cui in premessa (4): “Dal testo normativa sopra riportato emerge, dunque, con chiarezza che il vincolo del prezzo non è affatto soppresso automaticamente a seguito della caduta del divieto di alienare; ed anzi, in assenza di convenzione ad hoc (da redigere in forma pubblica e soggetta a trascrizione), segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita”.

In altre parole, se c’è una “convenzione ad hoc”, che non è necessariamente solo quella di “Affrancazione” del prezzo massimo con lo schema in allegato “A” alla Deliberazione nr. 33/2015 di cui in premessa (6), ai sensi del comma 49-bis dell’art. 31 della Legge 448/1998, ma può essere anche quella di “Trasformazione” con lo schema in allegato “B” o “C” alla Delibera nr. 54/2003, di cui in premessa (3)b), ai sensi del comma 46 dell’art. 31 della Legge 448/1998, con l’unica differenza, rispetto al caso di “Affrancazione”, che la scadenza dei vincoli sul prezzo massimo di cessione o di locazione, invece di avere l’effetto immediato della “Trasformazione” del Diritto di Superficie in Diritto di Proprietà all’atto della stipula, lo avrà alla scadenza dei 20 anni dalla convenzione originaria. Se così non fosse, quale sarebbe lo scopo della scadenza ventennale da inserire, obbligatoriamente, nella Convenzione di “Trasformazione”, se non proprio quello di far scadere gli altri vincoli convenzionali (prezzo massimo di cessione e locazione), dato che il vincolo importante del Diritto di Superficie decade immediatamente alla data di stipula?

C. Ad ulteriore conferma di quanto sopra considerato, viene in aiuto proprio la Sentenza n. 18135 del 16/09/2015, quando indica: “Un’ulteriore distinzione deve ravvisarsi tra le convenzioni ex art. 35 legge n. 865/1971 e quelle ex artt. 7 e 8 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 OMISSIS … . Solo per le seconde il titolare di alloggio su concessione edilizia rilasciata con contributo ridotto non è obbligato a rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla convenzione tipo approvata dalla regione, ai sensi dell’art.7 della legge 10/1977: …OMISSIS… nei limiti indicati dalla stessa convenzione e per la prevista durata di sua validità.”. In effetti, gli Schemi di Convenzione in allegato “B” o “C” alla Deliberazione nr. 54/2003, sono proprio redatte ai sensi del comma 46 dell’art. 31 della L. 448/1998, che consente ai Comuni la possibilità di sostituirele Convenzioni stipulate, ai sensi dell’art. 35 della Legge 22 ottobre 1971 n. 865 precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992 n. 179, con la Convenzione di cui all’art. 8, commi 1 – 4 e 5 della legge n. 28 gennaio 1977 n. 10” citata, nella Sentenza n. 18135 del 16/09/2015, come caso di assenza dell’obbligo di rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla Convenzione in esame.

D. Al contrario, la Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, di cui in premessa (7), prevede, al punto 3: “in mancanza di convenzione integrativa di affrancazione, il vincolo relativo al prezzo massimo di cessione nonché al canone massimo di locazione per gli alloggi realizzati nei piani di zona segue il bene nei successivi passaggi di proprietà a titolo di onere reale senza limiti di tempo, indipendentemente dall’epoca di stipula della convenzione sia nel caso di concessione in diritto di superficie che di cessione in proprietà, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza delle Sezioni Unite n. 18135/2015, con l’unica eccezione per quegli alloggi per i quali sia stata portata a termine la procedura a suo tempo prevista dall’art. 35 L. n. 865/1971, comma 17, durante il suo periodo di vigenza”. In sostanza va ad incrementare, con un’interpretazione piuttosto discutibile, la gravità a svantaggio dei cittadini, di quanto stabilito dalla citata sentenza, sostituendo, arbitrariamente, le parole “convenzione ad hoc” della sentenza, con le parole “convenzione integrativa di affrancazione”, confinando cioè la norma ribadita dalla citata Sentenza al solo ambito previsto dai commi 48, 49, 49-bis e 49-ter dell’art. 31 della Legge 448/1998 ed omettendo la possibilità di utilizzo dell’altro possibile tipo di “convenzione ad hoc” prevista al comma 46 della stessa Legge 448/1998 e già consentito, fra l’altro, nel Comune di Roma, in virtù della Deliberazione nr. 54/2003, di cui in premessa (3), mai abrogata (c.f.r.: considerazione A più sopra).

E. Inoltre, la Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, di cui in premessa (7), fra gli argomenti deliberati, in relazione all’applicazione del comma 49-bis dell’art. 31 della Legge 448/1998, riporta al punto 2 la frase: “In ogni caso, tale percentuale non potrà essere inferiore al 30% anche laddove siano già trascorsi più di venti anni dalla stipula della convenzione e anche nel caso la convenzione sia scaduta”, riferendosi agli alloggi concessi con Convenzioni in Diritto di Proprietà, senza però chiarire se il riferimento riguardi solo le Convenzioni in Diritto di Proprietà originarie, ai sensi all’art. 35 della Legge n. 865/1971, e successive modificazioni, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della Legge n. 179/1992, nel qual caso sarebbe più che lecito e conveniente per i cittadini che si troverebbero a pagare solo il 30% invece dell’intero ammontare del corrispettivo da determinare ai sensi del comma 48 dell’art. 31 della Legge 448/1998, oppure se si estenda anche a quelle sostitutive delle precedenti, stipulate ai sensi del comma 46 dell’art. 31 della Legge 448/1998 e dell’art. 8, commi 1 – 4 e 5 della Legge n. 10/1977 (come da Convenzioni tipo in allegato “B” o “C” della Delibera 54/2003), nel qual caso, sarebbe “contra legem”, come anche chiarito dalla Sentenza n. 18135 del 16/09/2015 che esclude, per tali Convenzioni, l’obbligo di rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla Convenzione in esame una volta trascorsa la durata di sua validità.

In ogni caso, l’eventuale applicabilità del punto 2 della Deliberazione 40/2016 sopra citato anche alle Convenzioni stipulate ai sensi del dell’art. 8, commi 1 – 4 e 5 della Legge n. 10/1977 (oppure dell’art. 18 del DPR 380/2001 che lo ha sostituito a partire dal 01/01/2002) mostrerebbe palesi contraddizioni con quanto riportato nella premessa a pag. 3 della Deliberazione 40/2016 dove, da una parte, viene riconosciuta un significato particolare alla scadenza ventennale indicando: “In questo caso il termine ventennale viene assunto convenzionalmente per omogeneità e uniformità di trattamento, in considerazione del fatto che la normativa succedutasi nel tempo ha attribuito varie conseguenze allo scadere di tale termine” al fine di utilizzarlo come denominatore della formula di calcolo della percentuale di riduzione da applicare al corrispettivo risultante dal calcolo ai sensi del comma 48 dell’art. 31 della Legge 448/1998, ma, dall’altra, fissa un limite del 30% al corrispettivo minimo da pagare per l’Affrancazione in caso di Convenzioni in diritto di proprietà. Infatti viene omesso cosa si intenda per “varie conseguenze allo scadere di tale termine” e si finisce con l’introdurre, implicitamente, un termine intermedio di 14 anni, che non si riscontra in nessuno delle normative in vigore su questo tema e, quindi, appare del tutto arbitrario, oltre il quale il corrispettivo non decresce per le convenzioni più vecchie e si mantiene “anche nel caso la convenzione sia scaduta”.

A questo proposito, è opportuno mettere in evidenza che per tutte le Convenzioni stipulate in conformità alla Convenzione-tipo definita dall’art. 8, commi 1 – 4 e 5 della Legge n. 10/1977 (oppure dell’art. 18 del DPR 380/2001), annoverando fra queste le seguenti:

  • Convenzioni in Diritto di proprietà ai sensi dell’art. 35 della Legge 865/1971 a partire dal 1/1/1997 (data dell’entrata in vigore della Legge 662/1996 che, con la lettera (e) del comma 63 dell’art. 3, ha modificato il comma 13 dell’art. 35 della Legge 865/1971);
  • Convenzioni sostitutive di quelle in Diritto di proprietà ai sensi dell’art. 35 della Legge 865/1971 antecedenti al 15/3/1992 (data dell’entrata in vigore della Legge 179/1992 che, con la il comma 2 dell’art. 23, ha abrogato i commi 15, 16, 17, 18 e19 dell’art. 35 della Legge 865/1971 e con essi anche l’unico vincolo sul prezzo massimo di cessione che poteva sopravvivere dopo la scadenza ventennale in mancanza di un pagamento al Comune);
  • Convenzioni sostitutive di quelle in Diritto di superficie ai sensi dell’art. 35 della Legge 865/1971 indipendentemente dalla data di stipula,

l’unico vincolo esplicitato in tale Convenzione-tipo è quello del prezzo massimo di cessione e locazione (essendo tutti gli altri vincoli abrogati, per le Convenzioni originarie in Diritto di Proprietà, oppure immediatamente eliminati, per la “Trasformazione” da Diritto di superfice a Diritto di proprietà). Pertanto quale altra potrebbe essere la conseguenza (citata ma non esplicitata nella Deliberazione 40/2016) allo scadere del termine ventennale se non proprio la decadenza dell’unico vincolo previsto? Altrimenti quale senso avrebbe stabilire una scadenza ventennale se questa non avesse alcuna esplicita conseguenza ed il vincolo venisse arbitrariamente prolungato senza limiti di tempo?

In sostanza, con la Deliberazione 40/2016 si è voluto estendere, “senza limiti di tempo” ed in modo del tutto arbitrario, una determinazione della Sentenza 18135 della Corte di Cassazione a SS.UU., emessa specificamente per una causa in un caso di Convenzione in Diritto di superfice, anche alle Convenzioni in Diritto di proprietà stipulate ai sensi  dall’art. 8, commi 1 – 4 e 5 della Legge n. 10/1977 (oppure dell’art. 18 del DPR 380/2001), alle quali, al contrario, la Sentenza esclude esplicitamente la sua stessa applicabilità.

F. Un altro aspetto da considerare riguardo alla Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, di cui in premessa (7), è quanto riportato a pag. 3 della Relazione, preparata dal “gruppo di Esperti” incaricati dal Comune di Roma, intitolata “CRITERI PER LA DETERMINAZIONE DEL VALORE VENALE DELLE AREE P.E.E.P DI ROMA CAPITALE FINALIZZATO AL CALCOLO DEI CORRISPETTIVI PER LA TRASFORMAZIONE IN PROPRIETA’ E PER LA RIMOZIONE VINCOLI DEI PREZZI MASSIMI DI CESSIONE (Commi da 48 a149/ter, articolo 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448”, in Allegato “A” alla stessa Deliberazione, dove si legge la frase: “relativamente all’individuazione del valore venale o di mercato del bene si ritiene che, lo stesso debba riferirsi al valore di mercato di un’area edificabile, su cui edificare in modalità diretta un fabbricato con simili o assimilabili caratteristiche ubicazionali ed edilizie a quello oggetto di affrancazione senza però considerarne la vetustà e/o l’obsolescenza dello stesso ed ipotizzando che tale immobile non sia gravato dai vincoli di cui alla legge n. 167/1962 e quindi che possa essere liberamene scambiato in una libera contrattazione di mercato“. Più avanti, nello stesso Allegato “A”, quando si definisce il parametro positivo (quello che incide cioè come incremento del risultato) della formula di calcolo del valore venale, il “valore del bene finito” viene chiaramente definito come: “Il valore del bene finito (Vfinito), ovvero il valore o prezzo del prodotto edilizio finito, cioè il valore del fabbricato (ipoteticamente da realizzare) sull’area da stimare” … OMISSIS … “per le destinazioni “residenziali”, si fa riferimento ai valori minimi delle quotazioni OMI riferite alla tipologia “abitazioni civili”, rivalutati “a nuovo”“.

Il problema del metodo utilizzato per la determinazione del “valore venale”, sta proprio nel fatto che non si sta trasferendo, nel caso di “Trasformazione”, o, peggio, solo svincolando, nel caso di “Affrancazione”, un terreno sul quale sarebbe ancora da costruire un immobile nuovo, che, per ovvi motivi, avrebbe un valore di mercato sicuramente più alto, ma c’è già un immobile che, in alcuni casi ha quasi 30 anni e, comunque mai meno di 5 anni (dato che, altrimenti, nessuna trasformazione o svincolo è possibile), quindi, per definizione, la vetustà ed, in numerosi casi, l’obsolescenza, date le nuove tecnologie ormai presenti in tutti i nuovi edifici, hanno un effetto devastante sull’effettivo valore di mercato dell’immobile che si sta trasformando o affrancando! Senza considerare che, ancora una volta, come già avvenuto per i valori catastali (su cui vengono calcolate le tasse) con l’attribuzione della Categoria Catastale A02 (cioè Abitazioni di tipo civile che, per definizione, sono Unità immobiliari appartenenti a fabbricati con caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifiniture di livello rispondente alle locali richieste di mercato) invece di A/3 (cioè Abitazione di tipo economico, come, invece, ci si aspetterebbe per interventi di Edilizia economica e popolare, in base a quanto citato più volte in tutte le Convenzioni in esame), anche per calcolare il valore venale ci si riferisce alla tipologia abitazioni civili, per di più rivalutati “a nuovo, con l’evidente e malcelato scopo di ottenere un maggiore corrispettivo da versare al Comune di Roma, in pratica “fare cassa” senza curarsi del fatto che, tipicamente, chi dovrebbe accedere alle procedure di “Trasformazione” o di “Affrancazione”, sono tutt’altro che cittadini “benestanti” e con elevate disponibilità economiche. In altre parole, i nuovi “valori venali”, stimati con la Deliberazione 40/2016, sono così alti che sarebbero solo giustificabili nel caso in cui, dopo la “Trasformazione” o l’“Affrancazione”, gli appartamenti in esame si trasformassero, per una pura magia, in alloggi appena costruiti con le tecnologie disponibili nel 2016, in tema di risparmio energetico, protezione acustica e servizi tecnologici etc…, ma sappiamo benissimo che così non è e neanche con una costosissima ristrutturazione potrebbe diventarlo. Pertanto, ad avviso dello scrivente, il Comune di Roma sta chiedendo un corrispettivo non congruo con maggior prezzo di mercato che si potrebbe ricavare da una vendita, poiché nessun acquirente pagherebbe mai un appartamento di 30 anni e da ristrutturare allo stesso prezzo di uno appena finito di costruire. Per non dover rifare da capo tutto il lavoro di stima (ed aspettare chissà quanti anni), l’unica via d’uscita, secondo lo scrivente, sarebbe quello che il Comune di Roma applicasse, caso per caso, un coefficiente correttivo del “valore venale”, in base alla vetustà ed obsolescenza, da calcolare, semplicemente, come percentuale di riduzione sulle stime del valore venale della Deliberazione 40/2016, in funzione degli anni a partire dalla data di stipula della relativa Convenzione originaria (dato che i tempi di realizzazione dell’intervento sono anche specificati in ciascuna delle Convenzioni originarie di cessione del Diritto di Superficie o di Proprietà vincolata). Un tale principio avrebbe anche il vantaggio della “simmetria” con il fatto che il prezzo massimo di vendita (senza “Trasformazione” o “Affrancazione”) viene abbattuto con un coefficiente di vetustà (fino al 30% quando sono passati 30 anni), a svantaggio dei titolari degli appartamenti, mentre con la rivalutazione “a nuovo (15% in più), prevista dalla Deliberazione 40/2016 per nelle formule di calcolo del “valore venale” del suolo, si introduce un vantaggio per le casse del Comune di Roma e, di nuovo, uno svantaggio a carico dei titolari degli appartamenti.

C’è, per altro, da notare un’interessante “coincidenza pilotata ad arte” fra quanto riportato a pag. 3 dell’Allegato “A” della Deliberazione 40/2016, sopra citata, e quanto riportato nel documento dal titolo “Cessione in proprietà di Aree Peep/Pip concesse in diritto di superficie e in diritto di proprietà vincolata e rimozione dei vincoli gravanti su tali aree”, scaricabile da Internet all’indirizzo web  http://www.formez.it/sites/default/files/aree_peep_e_pip.pdf, il quale, da quanto evidenziato nella Premessa nello stesso documento, fa parte del programma “Interventi per lo sviluppo della capacità amministrativa complementari a quelli posti in essere con la programmazione comunitaria”, che è stato attuato, avvalendosi del Formez PA per il periodo 2012-2015, nell’ambito del progetto “Interventi a Supporto dell’Attuazione delle Riforme della PA”, che ritengo una più che lodevole iniziativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in generale, e del Dipartimento della Funzione Pubblica, in particolare, per fornire a tutte le PA (incluso, quindi, il Comune di Roma) una valida guida operativa per la questione in oggetto. Infatti al paragrafo “5.6.3. Stime e metodologia di calcolo del diritto di trasformazione sulle aree” di tale documento si legge: “A tale fine il punto di partenza è l’individuazione del valore venale in comune commercio delle aree Peep.

Si tratta cioè di rideterminare alla data odierna un possibile valore di esproprio delle aree oggetto di trasformazione.

Relativamente all’individuazione dei valori di partenza, si deve procedere alla stima del valore di mercato unitario corrente di un’area edificatoria libera da vincoli di edilizia economica popolare con le stesse caratteristiche ubicazionali in cui è situato l’alloggio oggetto di riscatto, senza considerarne la vetustà e l’obsolescenza. Si può poi stimare che il valore venale dell’area incida per una percentuale del 15% sul valore del prodotto edilizio sulla stessa realizzato.

Si può quindi individuare il valore venale al metro quadro dell’area di riferimento, calcolato considerando un’incidenza del 15% sul valore di mercato al metro quadro di nuove costruzioni con le stesse caratteristiche ubicazionali.

Anche alla luce della finalità economico popolare dell’operazione si ritiene di poter considerare quale valore venale di riferimento, i valori minimi, riferiti alle civili abitazioni, estrapolati dalla banca dati delle quotazioni immobiliari (OMI) pubblicata dall’agenzia del territorio (ultimo dato disponibile).

Tale valore venale, ai sensi dell’art 37 comma 1 D.P.R. 327 del 2001, va ridotto del 25% (nuova modalità di calcolo dell’indennità di esproprio), in quanto riferito ad interventi di riforma economico sociale.

Questo valore così determinato, va poi decurtato di un ulteriore 60%, nel rispetto del meccanismo previsto dall’art 31 comma 48 L. 448/1998, così come espressamente chiarito dalla delibera n. 22 del 2011 della Corte dei Conti sez. riunite.

Per calcolare il valore di riscatto dell’area al metro cubo, si ritiene congruo provvedere ad applicare un coefficiente di ragguaglio mq/mc che tenga conto di un altezza interpiano di 3 metri, incrementata del 15% (così da includere delle parti comuni e delle entità accessorie).

Il valore al metro cubo così considerato esprime quindi il corrispettivo lordo da riconoscere al Comune per il “riscatto” di un appartamento assegnato in diritto di superficie (o concesso in proprietà vincolata con convenzione stipulata ante 1992).

Si rende necessario calcolare anche i valori di riscatto di pertinenze quali box, cantine, balconi, solai, etc.. Il valore di riscatto di tali pertinenze si può calcolare applicando un coefficiente di ragguaglio del 40% (usualmente adottato dal mercato) sul valore dell’area come sopra individuata.

Dalla coincidenza di alcune parti delle frasi, incluse alcune parole non di uso molto comune quale “ubicazionali” e la frase “senza però considerarne la vetustà e/o l’obsolescenza”, appare quantomeno probabile che il “Gruppo di Esperti” del Comune di Roma ben conosca il citato documento della FormezPA, dal quale ha estratto alcune frasi e concetti con un metodo simile al Copy&Paste. Il problema è che, invece di seguire quanto ivi suggerito nella sua completezza ed organicità, ha solo estrapolato le frasi più “convenienti” per far cassa, tralasciando, credo proprio in modo ben consapevole, tutte le parti che avrebbero potuto portare ad una evidente riduzione della stima del valore venale, che sarebbe stata, invece, del tutto ragionevole.

In particolare, sono stati omessi i seguenti importanti concetti:

  • A)   “Si può quindi individuare il valore venale al metro quadro dell’area di riferimento, calcolato considerando un’incidenza del 15% sul valore di mercato al metro quadro di nuove costruzioni con le stesse caratteristiche ubicazionali”. Invece, nella relazione del Comune di Roma, si è fatto ricorso ad una complicata formulazione teorica per poter giustificare un’incidenza del suolo, difficilmente valutabile in termini di percentuale del valore dell’edificio, ma sicuramente superiore al 15% suggerito, ed anche superiore al caso peggiore del 20% … 25% utilizzata da alcuni altri Comuni d’Italia, al solo fine di “FARE CASSA”, per di più nascondendo, in modo subdolo, questo tentativo dietro formule non semplicemente valutabili dai comuni cittadini, ma riservate agli “addetti ai lavori”, che anche con “piccoli ritocchi” di alcuni parametri del tutto arbitrari, possono pilotare il risultato nella direzione voluta, cioè quella di incrementare il valore venale in modo incongruo con lo stato dei luoghi! Uno di questi parametri, ad esempio, è l’indice di edificabilità che è, di norma, inferiore ad uno, invece a pag. 16 della Deliberazione 40/2016 viene espressamente indicato: “come accade nella consolidata prassi estimativa, si utilizza, per la stima del valore del bene in oggetto, il metodo indiretto attraverso il criterio del “Valore di trasformazione“, con il più probabile valore di mercato di un’area edificabile è data dalla differenza tra il valore del prodotto trasformato (bene finito) ed il costo (o valore) della trasformazione tutti riferiti a valori unitari di edificabilità”. In pratica è stata scritta una falsità, poiché nella “consolidata prassi estimativa” i valori di edificabilità non sono MAI unitari, quantomeno per tenere in conto della presenza di marciapiedi parcheggi esterni, aiuole, spazi comuni e simili che sono sempre presenti.
  • B)   “Tale valore venale, ai sensi dell’art 37 comma 1 D.P.R. 327 del 2001, va ridotto del 25% (nuova modalità di calcolo dell’indennità di esproprio), in quanto riferito ad interventi di riforma economico sociale.” Al contrario, nella relazione del Comune di Roma, invece di ridurre, è stato applicato un coefficiente in aumento per rivalutazione a nuovo del 15%.
  • C)   “Si ritiene congruo provvedere ad applicare un coefficiente di ragguaglio mq/mc che tenga conto di un altezza interpiano di 3 metri, incrementata del 15% (così da includere delle parti comuni e delle entità accessorie)”. Invece come coefficiente di ragguaglio, nella relazione del Comune di Roma, si è utilizzato un fattore di 3,2 (invece di 3,45), in modo tale da valutare, implicitamente, anche le parti comuni e le entità accessorie dell’edificio, che essendo computate nei mc complessivi riportati nella Convezione originaria hanno un evidente impatto sul corrispettivo totale della “Trasformazione” e/o dell’Affrancamento” che viene poi distribuito secondo i millesimi di proprietà di ciascun richiedente, allo stesso valore degli appartamenti, cosa che è palesemente non congrua.
  • D)  “Si rende necessario calcolare anche i valori di riscatto di pertinenze quali box, cantine, balconi, solai, etc.. Il valore di riscatto di tali pertinenze si può calcolare applicando un coefficiente di ragguaglio del 40% (usualmente adottato dal mercato) sul valore dell’area come sopra individuata”. Invece, nella relazione del Comune di Roma, non si considera alcuna riduzione del 40% per tali elementi, calcolando tutto allo stesso prezzo come se tali elementi avessero il medesimo valore dell’appartamento.

Tanto per fare un esempio di calcolo, secondo il metodo semplice, chiaro, ma soprattutto congruo, riportato nel documento FormezPA, consideriamo il PdZ Valmelaina:

  1. Il valore di mercato al metro quadro di nuove costruzioni con le stesse caratteristiche ubicazionali, ponendoci nel caso più costoso di “Abitazioni civili” (invece di “Abitazioni economiche” come suggerirebbe il tipo di intervento di “Edilizia economica e popolare”), è di 700,00 €/mq (è stato considerato il valore minimo alla luce della finalità economico popolare dell’operazione).
  2. Considerandone il 15%, indicato da FormezPA, come incidenza del valore venale dell’area, si ottiene (2.700,00 €/mq) x 0,15 = 405,00 €/mq.
  3. Tale valore venale calcolato al punto (2), ai sensi dell’art 37 comma 1 D.P.R. 327 del 2001, va ridotto del 25% cioè (405,00 €/mq) x (1 – 0,25) = 303,75 €/mq.
  4. Per calcolare il valore di riscatto dell’area al metro cubo (al lordo della successiva riduzione al 60% come da comma 48 dell’art. 31 della Legge 448/1998), si applica un coefficiente di ragguaglio mq/mc che tenga conto di un altezza interpiano di 3 metri, incrementata del 15% (così da includere l’effetto delle parti comuni e delle entità accessorie), cioè (303,75 €/mq) / (3 m x 1,15) = 88,04 €/mc. SI NOTA CON ESTREMA CHIAREZZA CHE TALE VALORE E’ DI GRAN LUNGA INFERIORE A QUELLO DI 239,51 €/mc, riportato nella Deliberazione 40/2016, di un fattore pari a 2,72 volte!
  5. Applicando, infine, la riduzione del 60% di cui al comma 48 dell’art. 31 della Legge 448/1998, si ottiene 88,04 €/mc x 0,60 = 52,83 €/mc, che è, per inciso, molto simile ai 57,96 €/mc approvati con la Deliberazione n. 297/2012 che, a questo punto, sembra aver ottenuto con 2 anni di anticipo la medesima valutazione a cui si sarebbe poi giunti con la metodologia indicata, ad ottobre 2014, da FormezPA. Quindi i tecnici che avevano fornito i valori per la Deliberazione n.297/2012 avevano fatto sicuramente un lavoro di tutto rispetto, purtroppo DEVASTATO, successivamente, dal “Gruppo di Esperti” che, nel 2016 ha prodotto la Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, che porta a risultati oltremodo onerosi per i cittadini, oltre che ingiusti rispetto a coloro che, nel loro pieno diritto, avevano effettuato la “Trasformazione” in Diritto di proprietà del Diritto di Superficie nel periodo dal 2012 ai primi mesi del 2016!

Ad ulteriore prova che i “valori venali” riportati nella Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, come risultato del complesso metodo riportato nell’Allegato “A” della stessa Deliberazione, risultino non congrui e non conformi alla Legge, basta fare riferimento al combinato disposto delle seguenti norme:

  1. L’ultima frase del comma 48 dell’art. 31 della Legge 448/1998 dispone: “Comunque il costo dell’area così determinato non può essere maggiore di quello stabilito dal comune per le aree cedute direttamente in diritto di proprietà al momento della trasformazione di cui al comma 47”. Questo stesso principio è stato riaffermato nella Deliberazione n. 94/2003 di cui in premessa (4).
  2. Per le aree cedute in proprietà come sopra richiamato, l’ultima frase del comma 12 dell’art. 35 della Legge 865/1971 dispone: “Contestualmente all’atto della cessione della proprietà dell’area, tra il comune, o il consorzio, e il cessionario, viene stipulata una convenzione per atto pubblico, con l’osservanza delle disposizioni di cui all’articolo 8, commi primo, quarto e quinto, della legge 28 gennaio 1977, n. 10“.
  3. Il comma 1 dell’art. 18 del DPR 380/2001, che ha abrogato e sostituito l’art. 8, della Legge n. 10/1977 sopra richiamata, dispone, in particolare al punto (b): “Ai fini del rilascio del permesso di costruire relativo agli interventi di edilizia abitativa di cui all’articolo 17, comma 1, la regione approva una convenzione-tipo, con la quale sono stabiliti i criteri nonché i parametri, definiti con meccanismi tabellari per classi di comuni, ai quali debbono uniformarsi le convenzioni comunali nonché gli atti di obbligo in ordine essenzialmente a:  …OMISSIS…b) la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi, sulla base del costo delle aree, così come definito dal comma successivo, della costruzione e delle opere di urbanizzazione, nonché delle spese generali, comprese quelle per la progettazione e degli oneri di preammortamento e di finanziamento;”.
  1. Il comma 2 dell’art. 18 del DPR 380/2001 dispone: “La regione stabilisce criteri e parametri per la determinazione del costo delle aree, in misura tale che la sua incidenza non superi il 20 per cento del costo di costruzione come definito ai sensi dell’articolo 16”.
  2. La Deliberazione n. 94/2003, per quanto riguarda il rapporto delle stime dei valori venali per i mc non residenziali rispetto ai mc residenziali. Infatti, tale Deliberazione stabilisce che, per le Convenzioni dei PdZ antecedenti alla Legge 662/1996, ci sia un coefficiente di omogeneizzazione pari a 2, cioè il costo a mc della cubatura assegnata agli immobili non residenziali sia pari a 2 volte quello della cubatura assegnata agli immobili residenziali, mentre per le Convenzioni dei PdZ dopo l’entrata in vigore della Legge 662/1996 ci sia un coefficiente di omogeneizzazione pari a 1,3.

Da quanto sopra si deduce che:

  1. Non può essere il comune a stabilire i criteri e parametri per la determinazione del costo delle aree, come, invece, ha fatto il Commissario Straordinario con i poteri dell’Assemblea Capitolina tramite le Relazioni in Allegato “A” alla Deliberazione 40/2016, ma questo è compito della Regione, mentre il Comune, sulla base dei suddetti criteri, va a determinare il costo delle aree. Quindi appare illegittimo, rispetto al su esposto combinato disposto, quanto incluso nella Deliberazione 40/2016, dal momento che Commissario Straordinario aveva solo i poteri dell’Assemblea Capitolina e non quelli del Consiglio Regionale.
  2. L’incidenza del costo delle aree non può superare il 20 per cento del costo di costruzione. Invece, riprendendo l’esempio sopra riportato del PdZ Valmelaina, e ripercorrendo, a ritroso il procedimento di calcolo, ma partendo dal valore venale di 239,51 €/mc riportato nella Deliberazione 40/2016, si avrebbe:
    1. Valore venale dell’area a mq, al netto della riduzione del 25% (ai sensi dell’art 37 comma 1 D.P.R. 327 del 2001): (239,51 €/mc) x (3,45 mc/mq) = 826,31 €/mq
    2. Valore venale dell’area a mq, al lordo della riduzione del 25% (ai sensi dell’art 37 comma 1 D.P.R. 327 del 2001): (826,31 €/mq) / (1 – 0,25) = 101,75 €/mq
    3. Incidenza percentuale del valore venale dell’area rispetto al valore di mercato al metro quadro di 700,00 €/mq per le nuove costruzioni con le stesse caratteristiche ubicazionali, ponendoci nel caso più costoso di “Abitazioni civili”: 100 x (1.101,75 €/mq) / (2.700,00 €/mq) = 40,81% (invece del 20% massimo). Cioè, almeno per il PdZ preso come esempio, siamo ad oltre il doppio del valore venale ammesso come limite massimo dal combinato disposto delle Leggi sopra citate. Dal momento che per tutti gli altri PdZ sono state utilizzate le medesime formule, si può, pacificamente, ipotizzare lo stesso errore di oltre il doppio del valore venale anche per tutti gli altri casi!
  3. La Deliberazione 40/2016, oltre a non rispettare in nessun caso il suddetto coefficiente di omogeneizzazione, nella maggior parte dei casi la stima dei mc residenziali è maggiore a quella dei mc non residenziali. Praticamente, alla luce di ciò, è stato completamente stravolto il principio della Legge 865/1971 poiché, invece di un’agevolazione per gli acquirenti degli alloggi, si è trasformata in un’agevolazione per i possessori delle cubature a destinazione non residenziale, quindi l’applicazione di un coefficiente di omogeneizzazione maggiore di 1 (come, per altro stabilito, dalla Deliberazione 94/2003 del Comune di Roma, MAI ABROGATA, ma completamente “DIMENTICATA” da chi ha redatto la nuova Deliberazione 40/2016) sarebbe quanto mai corretto, almeno dal punto di vista della “giustizia sociale”. Infatti, chi ha preparato la Deliberazione 40/2016, ha fatto finta di “dimenticare” la Deliberazione 94/2003, pur conoscendola benissimo, poiché sarebbe stato piuttosto difficile andare a giustificare, per esempio, per il PdZ Valmelaina, una stima di 2 x 239,51 €/mc = 479,02 €/mc, per gli immobili non residenziali, quindi ha stimato un più ragionevole valore di 206,50 €/mc. Ma a questo punto, la stima per gli immobili residenziali doveva essere, per la semplice applicazione della Deliberazione 94/2003, pari a 206,50 €/mc / 2 = 103,25 €/mc invece di 239,51 €/mc.

In ogni caso, anche per i non esperti di “logica legislativa”, qualsiasi nuova Deliberazione dovrebbe:

A.     essere congruente con quelle precedenti che riguardano le medesime problematiche, applicandone tutti i concetti, oppure, se si vuole portare avanti una nuova interpretazione legislativa,

B.     includere l’esplicita abrogazione di tutte le precedenti Deliberazioni non compatibili con i nuovi concetti.

Invece, la Deliberazione 40/2016 nasce come “un cavolo a merenda” in modo del tutto slegato e, soprattutto, contraddittorio, con tutto quello che è stato deliberato a partire dal 1971, senza neanche preoccuparsi di un’analisi critica del passato da finalizzare con l’abrogazione di tutto ciò con cui tale delibera entra in aperta contraddizione, tranne la timida indicazione, al punto 6 di pag. 13 dove viene indicato: “I valori venali di cui al precedente punto 5, laddove riferiti ai sotto riportati n. 14 Piani di Zona, sono sostitutivi dei precedenti approvati con le deliberazioni di Assemblea Capitolina n. 55 del 25 luglio 2011, di Giunta Capitolina n. 297 del 19 ottobre 2012 e di Giunta Capitolina n. 240 del 22 maggio 2013”, ma cita, in modo quantomeno fuorviante se non addirittura falso “In particolare, in coerenza con quanto già previsto dalle precedenti deliberazioni ed ai soli fini del calcolo del corrispettivo per la cessione in proprietà delle aree già concesse in diritto di superficie, deve intendersi confermato l’abbattimento di tali valori venali nella misura del 50%”. Ma di quale coerenza si sta parlando se non si rispetta il coefficiente di omogeneizzazione e si cita un abbattimento del 50% che non è citato in nessuna delle precedenti deliberazioni?

G.   Altro aspetto da non trascurare è il parere emesso nell’adunanza in camera di consiglio del 17 febbraio 2016 della SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA LOMBARDIA della CORTE DEI CONTI secondo il quale “Si deve pertanto ritenere, riprendendo una interpretazione condivisa anche dalla magistratura amministrativa, che nell’ipotesi in cui il corrispettivo per le opere di urbanizzazione sia stato determinato in misura pari costo della loro realizzazione da parte dell’ente locale e questo sia stato già versato per intero dal concessionario all’atto del riconoscimento del diritto di superficie, il relativo ammontare rivalutato debba essere detratto dal valore venale nella misura in cui tale valore tenga conto anche dell’incremento derivante dall’urbanizzazione primaria e secondaria dell’area (Cfr. TAR Sardegna, sentenza n. 1603/2002).

H.   Infine, la Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016 ha generato l’attuale situazione di incertezza in cui si trovano i Funzionari della O. Edilizia Sociale del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica del Comune di Roma, dopo la citata Deliberazione di cui, probabilmente, non hanno ben compreso le effettive conseguenze. Tali Funzionari, in occasione della consegna, da parte dello scrivente della richiesta di pre-adesione alla “Trasformazione” in Diritto di Proprietà del Diritto di Superficie di un appartamento, hanno affermato che prima di lavorare qualsiasi richiesta aspetteranno ulteriori chiarimenti, senza, per altro, specificare alcuna previsione di quando ciò, eventualmente, avverrà! A titolo d’informazione, si riporta che numerosissimi Comuni d’Italia hanno sempre utilizzato il principio che, nel caso di 20 anni già trascorsi dalla Convenzione originaria, basta la sola Convenzione di “Trasformazione” per ottenere la contestuale “Affrancazione” di tutti gli altri vincoli, incluso quello del prezzo massimo di cessione (o di locazione), trovandosi già nella situazione di termine ventennale già passato. Questa soluzione è, per altro, quella riportata nel documento, sopra richiamato, dal titolo “Cessione in proprietà di Aree Peep/Pip concesse in diritto di superficie e in diritto di proprietà vincolata e rimozione dei vincoli gravanti su tali aree”, pubblicato da Formez PA. Infatti, come riportato nel capitolo 3 “LA TRASFORMAZIONE DEL DIRITTO DI SUPERFICIE – APPROFONDIMENTO” a pag. 16 del documento sopra citato, “La legge 448/98 consente di trasformare il diritto di superficie in diritto di proprietà, tramite la stipula di una nuova convenzione … OMISSIS … I vincoli sulle convenzioni continuano a sussistere per la durata pari alla differenza tra la durata massima convenzionale di cui alla L. 10/77 (inizialmente 30 anni, ma successivamente limitato a 20 anni con un’ulteriore modifica del comma 46 dell’art. 31 della Legge 448/1998) e il tempo trascorso dalla stipula della convenzione precedente. Tali vincoli limitano principalmente la possibilità di vendere o affittare senza il rispetto di prezzi e canoni prestabiliti, e hanno efficacia limitata al tempo di durata della convenzione”. Pertanto, sarebbe semplicemente bastato seguire tali istruzioni, preparate da un Centro di Formazione per la P.A., per operare nel pieno rispetto della Legge, come fanno da tempo numerosi Comuni d’Italia. Al contrario, nel Comune di Roma sembra che ci si stia perdendo nei meandri di Deliberazioni contraddittorie fra loro, costringendo in una situazione di completa incertezza oltre ai Funzionari sopra citati anche, purtroppo, numerosissime famiglie, attualmente, in attesa della lavorazione delle richieste di “Trasformazione” e/o “Affrancazione”, presentate per evitare un’enorme mole di cause civili conseguenti ai numerosi preliminari di compravendita che erano stati stipulati, al prezzo di mercato, appena prima della Sentenza n. 18135 del 16/09/2015 (come, per altro si è sempre fatto a Roma grazie ai “nulla osta” rilasciati dal Comune di Roma, negli ultimi 30) e che, al momento, non possono essere perfezionati con un rogito definitivo prima di ottenere l’“Affrancazione” (o, ad avviso dello scrivente, prima di ottenere la “Trasformazione” delle Convenzioni originarie più vecchie di 20 anni).

I.   Nella Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016 non c’è alcun cenno sulle situazioni pregresse delle compravendite stipulate a prezzi superiori a quelli vincolati, a partire dalle prime cessioni da parte delle Imprese costruttrici passando per le vendite successive. Al contrario, la citata Deliberazione pone, a carico dei soli ultimi titolari dell’alloggio, il pagamento di un corrispettivo per poter restituire al loro appartamento il valore corrispondente al prezzo con il quale lo hanno acquistato dal precedente titolare oppure direttamente dall’Impresa Costruttrice e per il quale, a volte, ancora pagano pesanti rate di un mutuo di un ammontare superiore a quello del prezzo massimo ora consentito. A parere dello scrivente, ci sarebbe una palese responsabilità dei Funzionari del Comune di Roma pro tempore che, nel migliore dei casi, avrebbero omesso i dovuti controlli sul rispetto dei vincoli convenzionali, e, nei casi più gravi, avrebbero fornito “nulla osta” o “chiarimenti” fuorvianti in relazione ai vincoli sul prezzo massimo da rispettare. Anche i Notai avrebbero le loro responsabilità nel non aver analizzato nel dettaglio le Leggi vigenti applicabili in tema di cessione di alloggi vincolati del tipo in esame, avallando atti di compravendita di cui la Sentenza n. 18135 del 16/09/2015 ha definitivamente stabilito la nullità relativa al prezzo di cessione. Pertanto sarebbe auspicabile l’individuazione di una procedura adeguata per sanare tali situazioni, evitando i maggiori oneri ai cittadini coinvolti senza una loro responsabilità, ma, al contrario, richiedendo il pagamento degli oneri e, ove applicabile, le sanzioni agli effettivi responsabili, anche al fine di evitare il danno erariale, salvo il caso di prescrizione.

J.   Il corrispettivo di “Trasformazione” o “Affrancazione”, ai sensi del comma 48 dell’art. 31 della Legge 448/1998, è legato alla stima del valore venale dell’area (e per alcuni PdZ tale stima è di gran lunga maggiore di altri PdZ, secondo criteri piuttosto discutibili) ed all’importo pagato a suo tempo dall’operatore (Costruttore o Cooperativa) per la Convenzione, che va in detrazione nella formula del corrispettivo di Trasformazione o Affrancazione. In particolare, l’importo in detrazione ha un ruolo estremamente importante poiché il risultante corrispettivo di “Trasformazione” o “Affrancazione” si abbatte notevolmente se tale importo in detrazione è elevato. A questo proposito nasce un altro problema non trascurabile, specialmente per le convenzioni più vecchie. Infatti, da alcuni conteggi di “Trasformazione” analizzati, l’importo in detrazione è anche inferiore a quello riportato come corrispettivo della Convenzione e non solo poiché non include gli Oneri di urbanizzazione (che secondo quanto esposto al punto G dovrebbero essere, invece, inclusi), ma perché negli archivi del Comune potrebbe mancare parte della documentazione che attesta gli importi pagati dal Costruttore (ipotesi questa tutt’altro che da escludere poiché se oggi, su 118 PdZ, solo per qualche decina si riescono a trovare negli archivi del Comune di Roma le Liste dei prezzi massimi di cessione, che può garantire che, nel corso di decenni oltre a tali liste non siano anche andati smarriti i documenti attestanti i pagamenti effettuati dai Costruttori o dalle Cooperative?). Tanto per fare un esempio eclatante, per la Convenzione del PdZ Val Melaina, al Comune risulta un corrispettivo versato di soli Lire 281.538.000 (incluso il contributo per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria), mentre l’art 3 della Convenzione (intitolato “Corrispettivo della concessione”) riporta un corrispettivo di ben Lire 1.147.565.760. In pratica mancano all’appello ben Lire 866.027.760 corrispondenti ad Euro 447.266,01 che, anche suddivisi per le quote millesimali, sono una somma di tutto rispetto! Ci sono due possibilità:

  1. Il Costruttore NON ha effettivamente pagato tale cifra piuttosto cospicua, ma dove stavano i Funzionari del Comune che dovevano controllare che i corrispettivi venissero effettivamente pagati da Costruttore e, in mancanza di pagamento nei termini previsti, incassare la Fidejussione consegnata al Comune (come specificato nello stesso art. 3 della Convenzione)?
  2. Gli addetti del Comune NON hanno, a suo tempo, correttamente registrato le somme effettivamente pagate dal Costruttore, oppure la relativa documentazione giustificativa dei pagamenti potrebbe essere andata persa in un trasloco degli archivi comunali.

In entrambi i casi, la mancanza di quasi mezzo milione di Euro (che nel 1986 era una montagna di soldi!) non è certo colpa degli attuali intestatari degli alloggi (che a suo tempo non avevano neanche stipulato il contratto preliminare di compravendita e, comunque, non avrebbero avuto titolo per poter intervenire nell’attività di controllo dei pagamenti fra operatore e Comune di Roma a fronte dell’Atto di Convenzione di cui non erano parte in causa), ma è sicuramente colpa degli addetti del Comune (per mancanza di controllo, oppure per errata registrazione, oppure per incuria nell’archiviazione) ed, eventualmente, è colpa del Costruttore, nel caso non avesse pagato! Purtroppo secondo la procedura prevista dalla Deliberazione n. 13/2016 della Giunta Raggi (quarto passaggio del diagramma di flusso allegato alla Deliberazione), se dalla ricerca effettuata dall’Ufficio accertamenti della U.O. Edilizia Sociale non dovessero venir fuori tutti i documenti attestanti i pagamenti già effettuati dal Costruttore, alla fine il richiedente l’Affrancazione o Trasformazione dovrebbe pagarli, pro quota, un’altra volta, indipendentemente da cosa sia effettivamente avvenuto a suo tempo (caso (a) o (b) sopra descritto)

 

K.   Dalla Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, si evince facilmente che le informazioni necessarie per il calcolo del corrispettivo di “Trasformazione” o “Affrancazione”, ai sensi del comma 48 dell’art. 31 della Legge 448/1998, di cui l’Amministrazione Comunale non fosse già in possesso e che, quindi, dovessero essere specificamente fornite dal richiedente il procedimento siano:

  1. Conferma della titolarità dell’alloggio di cui si chiede la “Trasformazione” o “Affrancazione”;
  2. Riferimento alla Convenzione secondo la quale è stato realizzato l’edificio, in modo da estrapolare tutti gli altri dati che, a fronte dell’identificazione della Convenzione, sono già a disposizione l’Amministrazione Comunale;
  3. I millesimi di proprietà dell’alloggio di cui si chiede la “Trasformazione” o “Affrancazione”.

Ma da quanto pubblicato alla pagina web http://www.urbanistica.comune.roma.it/affrancazione-pmc/faq.html#quattro del sito istituzionale del Comune di Roma, risulta che la documentazione richiesta, per il procedimento di “Affrancazione”, sia:

  • Copia integrale del titolo di proprietà Immobile (atto d’acquisto o atto di assegnazione dell’immobile e nota di trascrizione)
  • Visura catastale storica e planimetria catastale dell’immobile
  • Copia integrale del Regolamento di Condominio e delle Tabelle millesimali di proprietà generale, la cui validità ed attualità anche in relazione ad eventuali modifiche sopravvenute dovrà essere attestata dall’Amministratore di condominio secondo apposito modello di Dichiarazione Sostitutiva di Atto Notorio (mod. AFF – 02/16)
  • Copia del documento di identità del proprietario o del legale rappresentante (se persona giuridica)
  • Codice fiscale del proprietario o del legale rappresentante (se persona giuridica)
  • Partita IVA (se persona giuridica)
  • Dichiarazione in ordine alla capacità a contrarre con la pubblica amministrazione

Come è facile dimostrare i documenti di cui ai punti (1) e (2), ai fini dei procedimenti in questione, contengono informazioni duplicate, riguardo alla titolarità dell’immobile, e la planimetria non serve a nulla, non contenendo nessuna delle informazioni necessarie. La Copia integrale del Regolamento di Condominio di cui al punto (3) non serve a nulla, non contenendo nessuna delle informazioni necessarie e, dovendo essere timbrata e firmata, su tutte le pagine, dall’Amministratore del Condominio, richiede un enorme mole di lavoro da parte dell’Amministratore stesso che ne può richiedere la remunerazione, oltre alla difficoltà di archiviare correttamente una documentazione così voluminosa che, per altro, deve essere fornita più volte, uguale a se stessa, per ciascun richiedente dello stesso Condominio. La difficoltà di archiviazione di questo tipo di documentazione è spesso causa di smarrimento con il conseguente prolungamento del procedimento a causa della richiesta di fornirla nuovamente anche con un ingiustificato aumento dei costi a carico dei richiedenti. La Copia integrale delle Tabelle Millesimali di proprietà millesimale di cui al punto (3) potrebbe causare errori di interpretazione, da parte del Responsabile del Procedimento, specialmente in caso di Condomini con molte scale e, considerando la richiesta attestazione da parte dell’Amministratore di condominio secondo apposito modello di Dichiarazione Sostitutiva di Atto Notorio, potrebbe essere sostituita dalla semplice evidenziazione in tale attestazione dello specifico valore dei millesimi di proprietà inerenti all’alloggio in questione, sostituendo le voluminose Tabelle millesimali complete con un attestazione costituita da un singolo foglio.  Riguardo, in generale, alla documentazione che una Pubblica Amministrazione possa richiedere ai cittadini per far fronte ad un procedimento richiesto, vale la pena ricordare che l’articolo 15, comma 1, della Legge 12 novembre 2011, n. 183, che ha modificato il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa” di cui al DPR 28 dicembre 2000, n. 445, ha stabilito che dal 1° gennaio 2012, le Pubbliche amministrazioni non possono più richiedere ai cittadini la presentazione di documenti detenuti da altre Pubbliche amministrazioni. L’eventuale richiesta di certificati dovrà essere acquisita direttamente dalle amministrazioni certificanti (a tale proposito, proprio come conseguenza di questa Legge, nei certificati rilasciati dai Comuni, adesso, c’è la clausola che tali documenti non possono essere prodotti agli organi della Pubblica Amministrazione). Quindi rilevare i documenti d’ufficio sarebbe addirittura un obbligo e, al contrario, sarebbe vietato chiederli ai cittadini da parte del Comune, indipendentemente dalla facilità o meno di estrarli personalmente, senza considerare che non ci sarebbe nessuna differenza fra una visura storica o una planimetria (quest’ultima inutile ai fini dei calcoli dell’Affrancazione/Trasformazione) estratti, a cura del cittadino, dal proprio cassetto fiscale, rispetto a quelli che potrebbe estrarre lo stesso incaricato del Comune con le necessarie abilitazioni, anzi ci sarebbe una maggior sicurezza di evitare qualsiasi manipolazione da parte del cittadino stesso. In ogni caso, per attestare la reale volontà del cittadino di avviare il procedimento è più che sufficiente la firma dell’Istanza e non è necessario abbattere foreste di alberi per presentare centinaia di pagine timbrate e firmate spesso del tutto inutili allo scopo in questione. Inoltre, ai sensi del comma 2 dell’art. 1 della Legge 241/1990, “la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”.

I.   La Deliberazione n. 13 del 5 agosto 2016 ha dato atto che, in relazione al procedimento di “Affrancazione”, “attesa la complessità del procedimento, i tempi procedimentali sono pari a 180 giorni, fatti salvi eventuali interventi interruttivi e/o sospensivi dovuti a fattori esogeni”, ma non c’è notizia di alcun provvedimento similare per il procedimento di “Trasformazione”. Pertanto, per quest’ultimo, ci troviamo nella fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 2 della Legge n. 241/1990, che stabilisce: “nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni”. Come noto ad oggi per numerosi procedimenti sia di “Affrancazione”, di cui si ha un numero veramente esiguo di procedimenti completati, sia di “Trasformazione”, che, in pratica, al momento risultano bloccati, i termini temporali di cui sopra sono abbondantemente trascorsi senza che, per altro, ci sia alcuna previsione dell’effettivo completamento. A tale proposito, è importante richiamare quanto stabilito dall’ 2-bis della Legge n. 241/1990, che, al comma 1, stabilisce “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento” e, al comma 1-bis, stabilisce: “Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento))”. Inoltre, è il caso di richiamare il dell’art. 328 del Codice Penale come sostituito dall’art. 16 della Legge n. 86/1990 che stabilisce: “Art. 328. – (Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione). – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire due milioni. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorrere dalla ricezione della richiesta stessa”.

 

 

Alla luce delle sopra esposte considerazioni, ai sensi della Legge n. 241/1990,

 

SI CHIEDE

 

a codesto Assessorato all’Urbanistica e infrastrutture, ed in mancanza al Sindaco di Roma un parere motivato riguardo ai seguenti argomenti:

  1. Con riferimento alle considerazioni A, B, C, D e H, sopra riportate, si chiede se la frase della Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, di cui in premessa (6), al punto 3: “in mancanza di convenzione integrativa di affrancazione”, risulti o meno:
    1. In contraddizione con lo Schema di Convenzione sotto la lettera “B” dell’ancora valida Deliberazione 54/2003, non citando anche il caso di Convenzione di “Trasformazione” dopo la sua scadenza di validità, ma solo quella di “Affrancazione”, ai sensi dei commi da 46 a 49-ter dell’art. 31 della L. 448/1998?
    2. Una limitazione estensiva, a scapito dei cittadini, rispetto a quanto stabilito, con forza di Legge, dalla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 18135/2015, che parla, più in generale, di “convenzione ad hoc” invece, in particolare, di sola “convenzione di Affrancazione”?
    3. Un’applicazione incompleta, a solo vantaggio del Comune di Roma, di tutte le possibilità previste dai commi da 46 a 49-ter dell’art. 31 della L. 448/1998 e già autorizzate dal Comune di Roma tramite precedenti Deliberazioni come la n. 54 del 31 marzo 2003? (A tale proposito, i Funzionari della O. Edilizia Sociale del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica del Comune di Roma hanno riferito allo scrivente che, in base alla Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, la prevista “Trasformazione” in Diritto di Proprietà del Diritto di Superfice non sembrerebbe mai sufficiente allo svincolo del prezzo massimo di cessione, neanche dopo la scadenza ventennale dell’eventuale Convenzione a tale scopo, ma occorrerebbe pagare due corrispettivi distinti ed addizionali: quello per la “Trasformazione” più quello per l’“Affrancazione”).
  2. Con riferimento alla considerazione B, sopra riportata, si chiede se, in seguito alla stipula di una Convenzione sostitutiva di “Trasformazione” in Diritto di Proprietà del Diritto di Superficie, stipulata ai sensi dell’art. 8, commi 1 – 4 e 5 della Legge n. 10/1977 (come da Convenzioni tipo in allegato “B” della Delibera 54/2003), una volta scaduto il termine di 20 anni dalla data di stipula dell’originaria Convenzione di cessione del Diritto di Superficie, ai sensi all’art. 35 della Legge n. 865/1971, vengano meno tutti i vincoli di prezzo massimo di cessione (o locazione) e decadano anche eventuali altri obblighi nei confronti del Comune, imposti dalla medesima Convenzione sostitutiva, rendendo non necessaria l’ulteriore Convenzione di “Affrancazione”, dato che sarebbero già venuti a scadere tutti i vincoli da affrancare.
  3. Con riferimento alla considerazione E, sopra riportata, si chiede a quale tipologia di Convenzione si riferisca la frase della Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, di cui in premessa (6), riportata al punto 2: “In ogni caso, tale percentuale non potrà essere inferiore al 30% anche laddove siano già trascorsi più di venti anni dalla stipula della convenzione e anche nel caso la convenzione sia scaduta”. E cioè:
    1. alle Convenzioni originarie, ai sensi all’art. 35 della Legge n. 865/1971, e successive modificazioni, per la cessione del Diritto di Proprietà, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della Legge n. 179/1992;
    2. alle Convenzioni sostitutive stipulate ai sensi dell’art. 8, commi 1 – 4 e 5 della Legge n. 10/1977 (come da Convenzioni tipo in allegato “B” o “C” della Delibera 54/2003) ora sostituito dall’art. 18 del DPR 380/2001;
    3. ad entrambe le tipologie anzidette?
  4. Con riferimento alla considerazione E, sopra riportata, si chiede da quale delle normative in vigore sul tema dell’Edilizia Convenzionata/Agevolata derivi la percentuale minima del 30% indicata al punto 2 della Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, di cui in premessa (6)? Infatti, tale percentuale del 30% introdurrebbe, implicitamente, un termine intermedio di 14 anni, che non si riscontra in nessuna delle normative in vigore su questo tema e, quindi, appare del tutto arbitrario.
  5. Con riferimento alla considerazione E, sopra riportata, si chiede a quali “conseguenze” faccia riferimento la frase a pag. 3 della Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, di cui in premessa (6), che riconosce un significato particolare alla scadenza ventennale indicando: “In questo caso il termine ventennale viene assunto convenzionalmente per omogeneità e uniformità di trattamento, in considerazione del fatto che la normativa succedutasi nel tempo ha attribuito varie conseguenze allo scadere di tale termine”, e quale altre potrebbero essere se non la caducazione dell’unico vincolo del prezzo massimo di cessione e di locazione esplicitamente imposto dalle Convenzioni ai sensi dell’art. 8, commi 1 – 4 e 5 della Legge n. 10/1977, ora sostituito dall’art. 18 del DPR 380/2001, durante il loro periodo di vigenza?
  6. Con riferimento alla considerazione F, sopra riportata, si chiede se la frase in Allegato “A” della Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, di cui in premessa (6): “relativamente all’individuazione del valore venale o di mercato del bene si ritiene che, lo stesso debba riferirsi al valore di mercato di un’area edificabile, su cui edificare in modalità diretta un fabbricato con simili o assimilabili caratteristiche ubicazionali ed edilizie a quello oggetto di affrancazione senza però considerarne la vetustà e/o l’obsolescenza dello stesso ed ipotizzando che tale immobile non sia gravato dai vincoli di cui alla legge n. 167/1962 e quindi che possa essere liberamene scambiato in una libera contrattazione di mercato“, produca o meno un risultato dei corrispettivi, ai sensi del comma 48 dell’art. 31 della L. 448/1998, oltre che non congrui rispetto allo stato dei luoghi, dove esistono già gli immobili di Edilizia economica e popolare, anche viziati dalla vetustà ed obsolescenza degli immobili già realizzati che, per ovvi motivi, non potranno mai avere un prezzo di mercato di abitazioni civili, per di più rivalutati “a nuovo.
  7. Con riferimento alla considerazione F, sopra riportata, si chiede, se tali corrispettivi oltremodo elevati, non vanifichino lo scopo che il Legislatore ha voluto dare al comma 3-bis dell’art. 5 del D.L. 13 maggio 2011 n. 70 (cd. “Decreto sullo sviluppo 2011”), inserito in sede di conversione con Legge n. 106/2011, che ha modificato la disciplina dettata con riguardo ad entrambe le suddette convenzioni, al dichiarato fine di “agevolare il trasferimento dei diritti immobiliari”. In particolare, detta norma ha inserito, nel suddetto 31 della Legge n. 448/1998, dopo il comma 49, i nuovi commi 49-bis e 49-ter, proprio per consentire, in via anticipata prima delle scadenze temporali di durata delle Convenzioni in Diritto di Proprietà (sia quelle originarie, che quelle sostitutive), l’“Affrancazione” del prezzo massimo di cessione o di locazione. Comunque, tale “Affrancazione”, sicuramente, non dovrebbe applicarsi a quelle convenzioni che fossero già scadute, altrimenti, invece di agevolare il trasferimento dei diritti immobiliari, lo renderebbe più oneroso e privo d’interesse. La vanificazione dello scopo del citato Decreto è implicita nel momento in cui, a causa di un corrispettivo eccessivamente elevato, il poter vendere l’immobile (o cederlo in locazione) ai normali prezzi di mercato, non produrrebbe alcun vantaggio poiché, sottraendo il corrispettivo per la “Trasformazione” e/o l’“Affrancazione” dal prezzo di mercato di un immobile di tipo economico ed ormai vetusto ed obsoleto si tornerebbe ad un valore netto uguale se non inferiore a quello “calmierato” al quale si potrebbe già vendere senza pagare al Comune alcun corrispettivo. In sostanza, se si continueranno a mantenere i nuovi “valori venali” indicati nella Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, che risultano elevatissimi e non comparabili con quelli approvati da tutte le Deliberazioni precedenti dello stesso Comune di Roma, le possibilità di “Trasformazione” e/o “Affrancazione” saranno scarsamente utilizzate, poiché prive di convenienza, e perdurerà la situazione di blocco del mercato immobiliare generata dalla Sentenza n. 18135 del 16/09/2015 almeno fino a quando non sarà emessa una Deliberazione con nuovi “valori venali” più aderenti alla realtà.
  8. Con riferimento alla considerazione F, sopra riportata, si chiede se, con la Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, il Commissario Straordinario con i poteri dell’Assemblea Capitolina, non abbia travalicato i suoi poteri, stabilendo i criteri e parametri per la determinazione del costo delle aree (i valori venali) che, invece, ai sensi del comma 2 dell’art. 18 del DPR 380/2001 dovrebbero essere stabiliti dalla Regione (in questo caso dalla Regione Lazio).
  9. Con riferimento alla considerazione F, sopra riportata, si chiede, se, esista una deliberazione della Regione Lazio, che abbia stabilito i criteri e parametri per la determinazione del costo delle aree (i valori venali) che, ai sensi del comma 2 dell’art. 18 del DPR 380/2001, rientra nei poteri della Regione, anche allo scopo di consentire alle Amministrazioni Comunali di determinare, appunto, i valori venali delle aree ed, in definitiva, i corrispettivi di cui al comma 48 dell’art. 31 della Legge n. 448/1998
  10. Con riferimento alla considerazione F, sopra riportata, si chiede, in base a quale Deliberazione o altra normativa la Deliberazione 40/2016 non tenga conto di quanto stabilito dalla Deliberazione n. 94/2003, che, per le Convenzioni dei PdZ antecedenti alla Legge 662/1996, prevede un coefficiente di omogeneizzazione pari a 2, cioè il valore venale a mc della cubatura assegnata agli immobili non residenziali deve essere pari a 2 volte quello della cubatura assegnata agli immobili residenziali, mentre per le Convenzioni dei PdZ dopo l’entrata in vigore della Legge 662/1996, prevede un coefficiente di omogeneizzazione pari a 1,3, ma, al contrario, per numerosi PdZ venga reso meno onerosa la possibile Trasformazione da Diritto di Superficie a Diritto di Proprietà dei mc non residenziali rispetto ai mc residenziali, nonostante i mc residenziali godano già del notevole vantaggio di poter essere scambiati a prezzi di mercato senza l’aggravio dell’onere di “Affrancazione” del vincolo del prezzo massimo di cessione che è previso solo per i mc residenziali.
  11. Con riferimento alla considerazione G, sopra riportata, se nel calcolo dei corrispettivi ai sensi del comma 48 dell’art. 31 della L. 448/1998, il comune intenda detrarre dal valore venale i costi sostenuti per le Opere di urbanizzazione già versati per intero dal concessionario all’atto del riconoscimento del diritto di superficie, opportunamente rivalutato secondo i coefficienti ISTAT, come da Parere emesso nell’adunanza in camera di consiglio del 17 febbraio 2016 della SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA LOMBARDIA della CORTE DEI CONTI, oppure decida di non farlo preferendo penalizzare ulteriormente i cittadini già pesantemente provati da questa situazione di incertezza sui PdZ.
  12. Con riferimento alla considerazione I, sopra riportata, si chiede al Comune di Roma di emettere una Deliberazione o altro atto adeguato allo scopo, per poter sanare le numerose situazioni pregresse delle compravendite stipulate a prezzi superiori a quelli vincolati, a partire dalle prime cessioni da parte delle Imprese costruttrici, passando per le vendite successive. Un procedimento adeguato, quantomeno per ridare serenità alle numerose famiglie che sono oggi vittima di una palese ingiustizia, sarebbe quello di valutare l’ammontare della differenza di prezzo effettivamente pagato per l’acquisto dell’alloggio vincolato rispetto a quello che avrebbero dovuto pagare nel rispetto del vincolo sul prezzo massimo di cessione. Nel prezzo effettivamente pagato occorre considerare, anche per i casi di primi acquirenti dalla Imprese costruttrici:
    1. Prezzo indicato nel rogito notarile;
    2. Commissione per l’Agenzia Immobiliare fittizia (cioè nata solo per la vendita dell’immobile in questione e direttamente collegata all’Impresa costruttrice);
    3. Incremento del prezzo per “migliorie” fittizie realizzate in fase di costruzione (ma senza le quali l’appartamento sarebbe stato inutilizzabile);
    4. Interessi di preammortamento gonfiati su somme mai erogate dalle Banche finanziatrici dell’intervento edilizio;
    5. Altre voci debitamente documentate;
    6. Oneri ed imposte proporzionali al prezzo corrisposto per la compravendita;
    7. Rivalutazione ad oggi, tramite ISTAT, della somma degli elementi sopra citati.

All’ammontare ottenuto sopra (da giustificare con documenti ufficiali quali: rogiti notarili, ricevute e fatture, bonifici, relazioni redatte da CTU in caso di azioni legali inerenti agli atti di compravendita, altri documenti ufficialmente ritenuti validi dall’Amministrazione Comunale), occorre sottrarre:

  1. Prezzo massimo di cessione (specificato nella Lista dei Prezzi Massimi depositata presso il Comune di Roma, successivamente rivalutato ad oggi, tramite coefficienti ISTAT, e ridotto dalla percentuale dovuta alla vetustà secondo quanto eventualmente riportato nella relativa Convenzione originaria con il Comune);
  2. Oneri ed imposte proporzionali al prezzo massimo definito dal punto precedente.

La differenza ottenuta, dovrebbe essere considerata come un credito disponibile, a vantaggio dell’attuale titolare dell’alloggio, alla stessa stregua degli importi pagati, a suo tempo dell’operatore (Impresa Costruttrice o Cooperativa) come corrispettivo della Convenzione, eventualmente da conguagliare con ulteriore versamento, per il pagamento del corrispettivo relativo alla “Trasformazione” in diritto di proprietà del diritto di superficie, ai sensi del comma 46 dell’art. 31 della L. 448/1998, e/o l’“Affrancazione” ai sensi dei commi da 49-bis a 49-ter dell’art. 31 della L. 448/1998, dal vincolo del prezzo massimo di cessione, nel caso di convenzioni originarie più recenti di 20 anni. Tale corrispettivo sarebbe da calcolare ai sensi del comma da 48 dell’art. 31 della L. 448/1998, ma dopo aver rivisto le stime del “valore venale” secondo criteri più adeguati e sicuramente inferiori a quelli della Deliberazione n. 40 del 23 maggio 2016, sulla cui correttezza si sono espressi forti dubbi nei punti precedenti. Tale credito, fino all’ammontare effettivamente utilizzabile per pagare il corrispettivo di “Trasformazione” e/o “Affrancazione”, non sarebbe altro che un giusto risarcimento del danno a carico del Comune di Roma che, per decenni, ha lasciato incancrenire la situazione senza intervenire nel modo adeguato per ristabilire giustizia e certezza del diritto, anche considerando la presenza di “nulla osta”, o “chiarimenti”, (come l’esempio pubblicato a questo link https://drive.google.com/open?id=0B3i8zfjJbs4OYjBUZVNfQlB6MVU ) o altro tipo di documento ufficialmente emesso dal Comune di Roma (individuato cioè da un n. di protocollo e da una firma di un “Dirigente”), sia per le specifiche compravendite, che a carattere generale in questa materia, come lettera (pubblicata a questo link https://drive.google.com/open?id=0B3i8zfjJbs4Oenh1NzhxWU9kRkU ) del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica del Comune di Roma al Consiglio Notarile di Roma  con protocollo 19413 del 21/02/2013 firmata da un “Dirigente” (i cui poteri, grazie alla sua qualifica, sono regolati dal comma 2 dell’art. 107 del D.L. nr. 267/2000, che stabilisce: “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108.”) che chiariva l’inesistenza di vincoli pattizi nelle Convenzioni stipulate dal Comune di Roma e che, quindi, non era necessario rimuoverli tramite atto notarile ai sensi della Legge 106/2011 (cosa che per altro era in un certo senso vera poiché, a leggerle bene, è piuttosto difficile andare a vedere un vincolo di prezzo per le vendite successive alla prima nelle Convenzioni stipulate dal Comune di Roma …) e che, pertanto, nessun nulla osta da parte del Dipartimento era necessario per la trasferibilità degli alloggi costruiti secondo le Convenzioni stipulate a Roma ex art. 35 Legge 865/1971. Con i citati documenti, infatti, è stata esplicitamente dichiarata l’assenza di vincoli sul prezzo massimo di cessione dopo cinque anni dalla cessione iniziale, pertanto, in questo caso, l’ovvia responsabilità ricadrebbe sui Dirigenti Comune di Roma, che li hanno firmati, e dei Notai, che non hanno effettuato le dovute verifiche, avallando atti di compravendita viziati da nullità per quanto riguarda il corrispettivo della compravendita. In tali casi la presenza di documenti di “nulla osta” o “chiarimenti” specifici e la lettera di più ampio respiro al Consiglio Notarile di Roma, emessi da Dirigenti del Comune di Roma dovrebbero avere la conseguenza di un’“Affrancazione” automatica senza corrispettivo dato che essa, implicitamente, è stata asserita dallo stesso Comune di Roma con l’avallo dei Notai. In tal modo, verrebbe rispettato un criterio di “giustizia” applicando l’onere in proporzione solo a chi abbia effettivamente speculato in modo consapevole e non essendo stato tratto in inganno dal Comune di Roma, con l’avallo del Notaio, nel corso delle successive compravendite, con la possibilità tutt’altro che remota che, in sostanza, la sola speculatrice sia stata l’Impresa costruttrice che non ha riversato, a vantaggio dell’acquirente i notevoli vantaggi ottenuti dal Comune di Roma, con la disponibilità del terreno su cui edificare gli immobili a fronte di un corrispettivo ridotto rispetto al libero mercato, e da altri Enti pubblici (Regione o Stato), con i contributi in conto capitale a fondo perduto o in conto interessi su mutui agevolati.

  1. Con riferimento alla considerazione J, sopra riportata, si chiede se, in effetti, la procedura prevista dalla Deliberazione n. 13/2016 della Giunta Raggi (quarto passaggio del diagramma di flusso allegato alla Deliberazione), nel caso, piuttosto probabile (data la mancanza anche di altri documenti come le Liste dei prezzi massimi, che non si trovano più negli archivi del comune, specialmente per le Convenzioni più datate), che il mancato ritrovamento di tutti i documenti attestanti i pagamenti già effettuati dall’operatore, in seguito alla ricerca effettuata dall’Ufficio accertamenti della U.O. Edilizia Sociale, costituisca una inaccettabile e palese ingiustizia nei confronti degli attuali intestatari degli alloggi che, pur non avendo avuto, a suo tempo, alcuna responsabilità né per i pagamenti da parte dell’operatore, né per le operazioni di registrazione e di archiviazione dei documenti attestanti i pagamenti effettuati, siano ora tenuti a pagare un corrispettivo di “Trasformazione” e/o di “Affrancazione” maggiore del dovuto, mentre il Comune vada ad incassare due volte lo stesso corrispettivo solo perché i suoi addetti non hanno avuto cura, a suo tempo, di controllare i pagamenti e conservare correttamente la documentazione attestante i pagamenti?
  2. Con riferimento alla considerazione K, sopra riportata, si chiede se, in effetti, la documentazione richiesta alla pagina web http://www.urbanistica.comune.roma.it/affrancazione-pmc/faq.html#quattro del sito istituzionale del Comune di Roma, per il procedimento di “Affrancazione”, aggravi, immotivatamente, il procedimento di “Affrancazione” e quali siano le motivazioni che non permettano la semplificazione del procedimento limitando la richiesta della sola seguente documentazione:
    1. Indicazione, con dichiarazione sotto la responsabilità del richiedente ai sensi delle Leggi vigenti in tema di dichiarazioni mendaci, delle seguenti informazioni:
      1. Estremi del titolo di proprietà Immobile (data, numero di repertorio e notaio rogante dell’atto d’acquisto o atto di assegnazione dell’immobile e nota di trascrizione);
      2. Dati catastali dell’immobile;
  • Identificazione tramite data, numero di repertorio e notaio rogante della Convenzione stipulata fra Comune di Roma e Azienda costruttrice o Cooperativa come risulta dal dell’atto d’acquisto o atto di assegnazione dell’immobile.
  1. Attestazione dell’Amministratore di condominio, secondo apposito modello di Dichiarazione Sostitutiva di Atto Notorio preparata dall’Amministrazione Comunale, dei millesimi di proprietà dell’immobile e delle sue pertinenze.
  2. Copia del documento di identità del proprietario o del legale rappresentante (se persona giuridica).
  3. Codice fiscale del proprietario o del legale rappresentante (se persona giuridica).
  4. Partita IVA (se persona giuridica).
  5. Dichiarazione in ordine alla capacità a contrarre con la pubblica amministrazione.

La documentazione di cui sopra, infatti, avrebbe il notevole vantaggio di limitarsi a non più di 6 pagine facilmente consultabili, al riparo di errori di interpretazione e facilmente archiviabile. Inoltre, per i richiedenti che fossero dotati di firma digitale e PEC o che volessero farsi assistere da un professionista abilitato e dotato di firma digitale e PEC, la documentazione di cui sopra potrebbe essere facilmente preparata in formato elettronico, firmata ed inviata tramite PEC, evitando lungaggini e difficoltà di archiviazione. Infine, ai sensi dell’art. 3-bis della Legge n. 241/1990 non sarebbe da preferire la messa in opera di un procedimento telematico, tramite accesso con le credenziali del richiedente al portale del sito web istituzionale del Comune di Roma, per l’inoltro delle Istanze di “Affrancazione” e/o di “Trasformazione”, tramite upload della documentazione richiesta che, a quel punto, sarebbe già nel formato elettronico indicato come “Fascicolo Istanza” nell’Allegato B della Deliberazione n. 13 del 5 agosto 2016?

  1. Con riferimento alla considerazione L, sopra riportata, si chiede se gli enormi ritardi per la conclusione dei procedimenti di numerose Istanze di “Affrancazione”, ed il fatto che le Istanze di “Trasformazione”, non ancora concluse dopo la Deliberazione nr. 40/2016, siano di fatto bloccate, non costituiscano un vero e proprio inadempimento di quanto prescritto dalla Legge n. 241/1990, e, come tale, imponga il pagamento di un indennizzo all’istante per il mero ritardo nella conclusione del procedimento, se non, addirittura aggravato dall’atto illecito di non esporre le ragioni del ritardo punibile ai sensi del secondo comma dell’art. 328 del Codice.