SENTENZA DI CONDANNA A PAGAMENTO SPESE LEGALI DI UN ACQUIRENTE POST SENTENZA

SENTENZA DI CONDANNA A PAGAMENTO SPESE LEGALI DI UN ACQUIRENTE POST SENTENZA
Di seguito illustrerò, in ordine cronologico ed in modo quanto più preciso possibile, le vicende inerenti l’acquisto del mio immobile, nonché l’evolversi del procedimento civile instaurato presso il Tribunale Civile di Roma.
Nel maggio del 2015 ero intenzionato ad acquistare un appartamento a Roma, imbattendomi in un immobile di mio gradimento.
L’immobile era prezzato 189.000 euro ed era stato affidato ad un’Agenzia Immobiliare di Roma. A seguito di alcune trattative si giunge all’accordo, inerentemente al prezzo di compravendita, di euro 160.000,00 e di conseguenza procedevo ad instaurare la richiesta mutuo per il successivo rogito. Viene così redatta a cura dell’agenzia immobiliare e sottoscritta dalle parti (me ed il venditore), in data XX.05.2015, un contratto preliminare di vendita con la quale mi impegnavo ad acquistare l’immobile al prezzo pattuito.
Premetto che si stratta di un immobile in diritto di superficie costruito ai sensi della 865/71 nel 1989, situazione di cui sono venuto a conoscenza solo successivamente, come di seguito descritto.
Infatti la prima criticità di questa “triste” vicenda la incontro proprio leggendo il contratto preliminare di vendita in parola nel quale all’articolo 4 viene testualmente riportato: “La parte promittente venditrice dichiara e garantisce, la piena proprietà dell’immobile oggetto del presente contratto e la sua libertà da ipoteche, pesi, oneri di qualsiasi genere, vincoli, prelazioni, privilegi anche fiscali, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, vizi, liti in corso”.
Purtroppo, solo a pratiche già avviate, mi viene il sospetto, che l’immobile non sia libero da vincoli né tantomeno la parte venditrice potrebbe mai dichiarare e garantire la piena proprietà dell’immobile in argomento in quanto trattasi di immobile soggetto a vincoli di prezzo di massima cessione, così come stabilito dall’art. 14 della convenzione allo stesso attinente, stipulata tra il Comune di Roma e la società costruttrice.
La questione relativa al prezzo di massima cessione ed a ciò che comporta in termini di vincoli sull’immobile mi viene rappresentata per la prima volta in occasione della prima richiesta di mutuo diretta all’Intesa San Paolo Spa.
Infatti in tale occasione, a seguito della perizia effettuata sull’immobile, l’istituto stesso rigetta la
mia richiesta a causa della dettagliata relazione del perito incaricato (il quale a differenza di tutti gli altri ha letto per bene la convenzione citata, di cui scopro l’esistenza solo in tale occasione) nella quale veniva specificato quanto segue: “La valutazione riporta il prezzo di cessione imposto dalle vigenti leggi e calcolato come da convenzione, comprendendo la quota parte delle eventuali pertinenze comuni del fabbricato ed al netto di ogni eventuale onere o costo stimato per regolarizzazioni o ripristini. Nota
relativa al VTR: Trattasi di proposta di acquisto che è in linea con i valori di libero mercato di zona per
tipologie analoghe per piano e dimensione. Tuttavia trattandosi di bene ricadente in area PEEP e
soggetta ai vincoli da convenzione la valutazione viene eseguita rivalutando il prezzo di cessione secondo gli aggiornamenti ISTAT”
In tale circostanza difatti, il prezzo dell’immobile è stato quantificato in euro 84.000,00 (81.000 per
l’appartamento e 3.000 per il posto auto).
Rappresento così la situazione al venditore, il quale dopo essersi convinto a posticipare il rogito, si reca presso il Comune di Roma Capitale – Dipartimento Programmazione ed Attuazione Urbanistica che, in data XX.06.2015 con nota n. 1XXXXX, emette il c.d. Nulla Osta a firma del Responsabile del Servizio – Ing.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.
In tale atto Roma Capitale a seguito della richiesta presentata dal vecchio proprietario dell’immobile,
dichiara che, con la legge 179/1992 le limitazioni stabilite dalla Legge n.865/71 circa il trasferimento degli
immobili realizzati in diritto di superficie sulle aree dei piani di zona approvati ex lege 167/62 sono venute meno e che dunque le uniche limitazioni sono da rinvenirsi nella Convenzione stipulata tra l’amministrazione Capitolina ed il Concessionario del diritto di superficie.
L’amministrazione Capitolina dichiara dunque, per mezzo dei propri funzionari che redigono la nota concernente il Nulla Osta alla vendita, che dall’esame della Convenzione in essere per la concessione del diritto di superficie stipulata, a rogito del notaio xxxxxxxxxxxxxin data 17.02.1988 si evince che il singolo alloggio pervenuto al primo avente causa del concessionario, potrà essere alienato a libero prezzo di mercato una volta che siano trascorsi 5 anni dalla data certa del primo trasferimento, che il mio immobile ricade nella fattispecie.
Nulla di più falso!
In tale atto si evincono due criticità.
La prima si individua nel fatto che la legge 179/1992 autorizza l’alienazione della tipologia di immobili dopo 5 anni dal primo trasferimento, ma lascia inalterato quanto previsto da:
a) Dai commi dal 3 al 10 dell’art. 35 della Legge 865/1971, che regolano la gestione degli immobili concessi in diritto di superficie come quello in oggetto, ma ha rimosso le limitazioni relative agli immobili concessi in diritto di proprietà tramite l’abrogazione dei commi dal 15° al 19°, che riguardavano solo ed esclusivamente gli immobili ceduti direttamente in diritto di proprietà ai sensi del comma 11° dello stesso articolo che non riguarda affatto l’immobile in questione.
b) ll comma 49 bis dell’ articolo 31 della Legge 448/1998 introdotto dalla Legge 106/2011, ovvero il quale stabiliva che i “vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della Legge 22 ottobre 1971 n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992 n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno 5 anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unità in diritto di superficie, in misura pari ad una percentuale del corrispettivo risultante dall’applicazione del comma 48 del medesimo articolo.
La seconda si individua nel fatto che la convenzione stessa, all’art. 14 specifica che l’immobile è chiaramente soggetto a prezzo di massima cessione per l’alienazione, dunque sembrerebbe che funzionario e dirigente dell’epoca e sopra citati, non abbiano neanche letto la convenzione stessa e soprattutto si siano soffermati solo ad una prima parte dell’interpretazione, per altro errata come evidenziato al punto (a) più sopra, legislativa della L. 179/92 dimostrando una totale superficialità e strafottenza della questione rappresentata.
In ogni caso una volta consegnato a me il nulla osta in parola ed inviato all’Istituto di Credito, il mutuo
veniva deliberato, e, a quel punto, proprio in conseguenza del nulla osta comunale, procedo al Rogito visto che tra l’altro non potevo sottrarmi alla stipula, senza perdere le somme già versate al venditore a titolo di caparra, il quale avrebbe potuto trattenerle, salvo ulteriore richiesta di risarcimento danni avvalendosi proprio del citato nulla osta.
Facendo un passo indietro a livello temporale, è doveroso nonché obbligatorio specificare che in data
16.09.2015 è stata emanata da parte della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18135/2015, con la quale i giudici hanno chiarito che sussiste il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile costruito in regime di edilizia agevolata non soltanto per il primo trasferimento ma anche per tutti quelli successivi al primo, salva la possibilità di rimuoverlo, trascorsi 5 anni dall’acquisto, con il procedimento amministrativo previsto dall’art. art. 31 della L. 448/98, al comma 49 bis, mediante il pagamento di un indennizzo al concedente (affrancazione). Con tale sentenza viene altresì specificato che sussiste il vincolo alla determinazione del prezzo – che – discende, in ogni caso, dalla legge per le convenzioni disciplinate dalla L. 865/1971.
La possibilità di rimuovere i vincoli relativi al prezzo massimo di cessione (nonché del canone massimo di locazione) contenuti in una convenzione P.E.E.P. – hanno affermato le SS.UU. – è subordinata a tre presupposti:
1) che siano decorsi almeno 5 anni dal primo trasferimento;
2) vi sia la richiesta del singolo proprietario;
3) la determinazione della percentuale del corrispettivo sia calcolata in base a parametri legali da parte del Comune Emerge, dunque, con chiarezza per il supremo collegio che il vincolo, quindi, non è soppresso automaticamente a seguito del venir meno del divieto di alienare ma, in assenza di convenzione ad hoc, segue il bene nei successivi passaggi, a titolo di onere reale con naturale efficacia indefinita!
Da ciò si denota la totale superficialità dei dirigenti e della stessa amministrazione Capitolina nell’emanare il nulla osta in questione che porta me, e se vogliamo anche l’ex proprietario dell’immobile nella sua qualità di venditore, ad essere ingannati, in quanto a fronte di una esplicita specifica di Roma Capitale, circa la mancanza dei vincoli relativi al prezzo, ha portato le parti a rogitare senza alcun problema, ignari della vera realtà dei fatti.
In tutto ciò è paradossale, almeno a parer mio, che il Notaio non sia venuto a conoscenza, come invece molti altri suoi colleghi di Roma, del parere espresso dalle SS.UU. della Corte, procedendo redigere e certificare in termini di legge l’atto di compravendita, facendo anche esplicito riferimento a quanto affermato da Roma Capitale con il famoso Nulla Osta.
A soli 14 giorni dalla sentenza e circa 8 giorni dalla mia compravendita, mi reco presso il Dipartimento
Urbanistico di Roma Capitale, in quanto da fonti aperte su internet inizio a sentir parlare della sentenza 18135, trovando un “avviso all’utenza” che specificava l’impossibilità di procedere all’emanazione di
nulla osta a causa dell’emissione della sentenza 18135.
Adesso è chiaro il mio stupore nel leggere quanto affisso dal Dipartimento ed a firma del medesimo Dirigente che solo 4 mesi prima aveva firmato il nulla osta relativo al mio immobile, in quanto anche da un esame della sentenza stessa, non vi è alcun riferimento normativo particolare né innovativo, se non a quello inerente Leggi già in vigore nel giugno 2015.
Da ciò si deduce come anche affermato in sedi competenti, che la sentenza in argomento non
fa altro che rammentare una disposizione di legge già in essere.
A tal proposito, dopo varie insistenze, riesco a parlare con l’Ing. XXXXXXXXXXXXXX (responsabile del servizio del Dipartimento Urbanistica) per chiedere cosa fosse cambiato rispetto a prima e far capire che a causa dell’atto dallo stesso firmato in data XX.06.2015 mi ritrovo dopo solo qualche mese, ad avere un immobile vincolato da un prezzo di massima cessione nonostante avevo avuto la “certezza” o per meglio dire “la conferma” da Roma Capitale che così non fosse. A tal proposito lo stesso Ing. XXXXXXX, forse non rendendosi conto della gravità di ciò che stava per dirmi, mi spiegava che prima si trattava di una “prassi consolidata” l’emissione dei c.d. nulla osta, ma con la sentenza 18135 tutto ciò non è più fattibile.
In riscontro alla mia insistenza, visto che era mia intenzione trasferirmi in altra città, nel voler sapere quanto davvero valesse e soprattutto a quanto poteva essere venduto il mio immobile, per non contravvenire a disposizioni di Legge lo stesso procedeva al calcolo con i parametri ISTAT il c.d. prezzo di massima cessione, così come disposto dalla convenzione edilizia, partendo dal parametro di 88.000.000 di lire (prezzo di acquisto del primo acquirente dalla società di costruzioni) rapportato al 10.10.2016 giorno della mia presenza presso il suo ufficio, ricavando il valore di euro 85.851,66, valore di poco discostante da quello ricavato un anno prima dal perito dell’Istituto di Credito che ha rifiutato la concessione del mutuo.
E’ di importante rilevanza specificare che l’atto o documento che dir si voglia in questione riporti il timbro di Roma Capitale – Dipartimento di Programmazione ed Attuazione Urbanistica e timbro e firma del responsabile del servizio – Ing. XXXXXXXXXXX, in quanto lo stesso è la medesima persona che nel giugno dell’anno precedente mi induceva a convincermi (sbagliando), per il tramite del venditore a cui ha rilasciato il nulla osta già citato, che il mio immobile non era assoggettato al prezzo di massima cessione, facendomi ritrovare ad oggi ancora in questa situazione.
Difatti, come specificato in precedenza, attualmente ho un a causa civile presso il Tribunale di Roma iniziata nell’anno 2017 contro il venditore, il notaio, l’agenzia immobiliare e Roma Capitale, ciò anche a seguito di un tentativo di mediazione non andato a buon fine a causa della mancata presentazione del Comune di Roma Capitale e dell’Agenzia Immobiliare.
È praticamente scontato che se Roma Capitale non avesse prodotto il fatidico nulla osta, oggi il sottoscritto non avrebbe neanche potuto acquistare questo immobile, in mancanza di concessione del mutuo come previsto da clausola sospensiva del preliminare, e, in ogni caso, date con le problematiche ad esso annesse in quanto, non avrei comprato lo stesso, anzi avrei potuto pretendere la restituzione del doppio della caparra da parte del venditore che aveva omesso di dichiarare, nel contratto preliminare, la presenza del vincolo di prezzo massimo di cessione, cosa che, invece è diventata impossibile, a suo tempo, proprio a causa del nulla osta che negava, appunto, tale vincolo. Inoltre, e con buona probabilità, neanche il venditore non lo avrebbe venduto per 84.000,00 euro se tale vincolo non fosse stato occultato dall’errato nulla osta.
Inoltre se solo si fossero presentati in mediazione il Comune di Roma e l’Agenzia Immobiliare si sarebbe potuto trovare un accordo che andava bene a tutti senza procedere con il procedimento civile presso il Tribunale.
Una volta impiantata la causa civile presso il Tribunale Civile di Roma, chiedevo la restituzione della differenza tra il prezzo di libero mercato, ovvero i 160.000,00 euro con i quali avevo pagato l’immobile, e i circa 86.000,00 euro del prezzo di massima cessione, importo calcolato dal dirigente del Dipartimento con la nota di cui al precedente.
Nel dicembre del 2018, a causa della pubblicazione della legge 136/2018 (Sen. Grassi), con la quale veniva consentita la rimozione le vincolo del prezzo di massima cessione a tutti coloro che ne abbiano interesse, purchè siano trascorsi 5 anni dal primo trasferimento, e stabiliva, con l’introduzione del comma 49-quater, che l’eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalità di cui ai comma 49 bis e 49 ter dell’art. 31 della L.448/1998.
Forte di tale legge, il venditore accettava immediatamente la mediazione extra giudiziale
da me richiesta, liquidandomi una cifra necessaria ad affrancare a titolo di pagamento
dell’affrancazione per lo svincolo del P.M.C., somma che immediatamente inoltravo a Roma Capitale che con nota XXXX del 30.09.2019 mi aveva indicato quale canone di affrancazione per la rimozione dei vincoli relativi al prezzo di massima cessione.
Ne consegue che in data 13.01.2020, con nota xxxxxx mi veniva inoltrata la Determina Dirigenziale con la quale Roma Capitale mi autorizzava alla stipula della convenzione per la rimozione del vincolo.
Si rappresenta inoltre che proprio nel precedente documento, viene specificato che
Roma Capitale emette la determina fatti salvi ulteriori doverosi conteggi da effettuarsi in virtù
dell’emanazione del decreto del M.E.F. che contenga espressa reciproca accettazione dell’eventuale futura perequazione a saldo definitivo di denaro, da corrispondersi a richiesta ed in favore della parte che risulterà creditrice rispetto a quanto già provvisoriamente calcolato e versato.
Giova precisare inoltre che la futura convenzione che verrà stipulata tra me e Roma Capitale circa
l’abbattimento dei vincoli non dovrà contemplare quanto previsto dalla nota XXXXXX del 30.09.2019
relativamente all’eventuale richiesta di conguaglio, una volta determinato il costo definitivo del Piano di Zona, rinunciando contestualmente, ad opporre diritti di prelazione al corrispettivo dell’affrancazione, calcolato anche sulla base dei costi provvisori di acquisizione dell’area.
Infatti, ciò è dovuto al fatto che relativamente al piano di zona 10 V Acilia, è ben specificato nella deliberazione n. 54 del 2003 di cui al Prot. Serv. Deliberazioni n. 29/03, dalla quale si evince che, per il piano di zona in questione, acquisito e dunque di proprietà del Comune di Roma sin dal 1932, non è previsto il conguaglio in quanto il corrispettivo unitario versato copre il costo di acquisizione del piano. Pertanto, l’eventuale clausola di conguaglio che dovesse essere, erroneamente, riportata nell’atto di affrancazione con l’ulteriore obbligo di citarla in tutti i futuri atti di compravendita, produrrebbe un ulteriore danno nei miei riguardi riducendo, implicitamente, il valore del mio immobile in sede di eventuali trattative di compravendita, anche ad Affrancazione formalizzata, generando il dubbio in un potenziale acquirente di dover versare, senza possibilità di opporsi, un conguaglio di cui non si può neanche specificare l’ammontare dato che ne è prevista dal citato atto comunale la sua assenza. Francamente, dover accettare un ulteriore clausola vessatoria su un atto da stipulare con il Comune di Roma, dopo aver già patito i notevoli danni già causati dal citato nulla osta, non è assolutamente accettabile.
Stante il fatto che gli interventi normativi, con particolare riferimento alla Legge 136/2018, hanno portato le controparti ad avere un atteggiamento molto più indisponente e forte nei miei confronti, si descrive quella che era la situazione finale della controversia:
Il procedimento civile continuerà dunque nei confronti di Roma Capitale, Notaio ed Agenzia Immobiliare per le seguenti motivazioni:
– L’agenzia Immobiliare ha in principio erroneamente indicato, nel contratto preliminare, un immobile
su cu insisteva il diritto di piena proprietà (art. 4) e libero da ogni vincolo, manifestando dunque un’oggettiva responsabilità professionale nella compravendita stante anche
nel fatto che la stessa, nella persona del suo rappresentante legale, non si è documentata circa i
vincoli di prezzo su cui gravava l’immobile oggetto di compravendita;
– Il Notaio in quanto pubblico ufficiale, incaricato in data 22.09.2015 di attestare la genuinità del mio
atto di compravendita in quanto lo stesso, in occasione del rogito di un atto di compravendita
immobiliare, è sempre tenuto ad effettuare tutti gli accertamenti prodromici all’atto, necessari ad
identificare il bene che ne è oggetto e a garantirne la libertà da vincoli così come stabilito dalla
sentenza n. 21775/2019 della Suprema Corte di Cassazione (ovviamente non citata nella mia sentenza). Inoltre ha proceduto a certificare la compravendita in data 22.09.2015 ovvero dopo la pubblicazione della sentenza 18135/2015;
– Roma Capitale in quanto con l’emanazione del c.d. Nulla Osta ha garantito l’assenza del vincolo del
prezzo di massima cessione sull’immobile che ho proceduto ad acquistare determinando una
rappresentazione dei fatti non corrispondente alla realtà ed inducendo il sottoscritto ed a questo
punto anche la parte venditrice in errore, con un grande danno economico non ancora risolto.
In ordine a quelle che sono le controdeduzioni espresse da Roma Capitale si rappresenta
che i legali dell’amministrazione capitolina, fanno espresso riferimento, come già fatto in sede di
emissione del nulla osta di giugno 2015, alla Legge 179/1992 il cui art. 20 prevede che gli alloggi in edilizia agevolata possono essere alienati e locati superati i 5 anni dal primo trasferimento, ma in sede dibattimentale fanno finalmente riferimento al fatto che ove sussistano convenzioni di cui alla Legge 865/71, quindi antecedenti alla predetta legge 179/92, la cessione del diritto di superficie può essere rimossa a fronte di stipula di atto pubblico integrativo, soggetto a trascrizione, per la rimozione del vincolo stesso, spezzando dunque una lancia a mio favore inerentemente al vergognoso Nulla Osta impugnato da me ed emesso dall’Amministrazione Capitolina e che, con tale affermazione, si attribuisce autonomamente alla stessa Roma Capitale la responsabilità di quanto avvenuto.
NONOSTANTE QUESTO IL GIUDICE CONDANNA ME AL PAGAMENTO DELLE SPESE LEGALI, PUR SE LA STESSA ROMA CAPITALE SI DICHIARA COLPEVOLE!
Inoltre, l’Avvocatura di Roma Capitale conferma l’esistenza dei vincoli relativi al prezzo di massima cessione tutt’ora presenti sul mio immobile, specificando inoltre che, anche con eccessiva superficialità, il c.d. Nulla Osta non è altro che una mera e informale risposta ad una richiesta di chiarimenti e che la stessa non ha alcun valore provvedimentale e che, come dagli stessi specificato, ipoteticamente si potrebbe far riferimento ad una “condotta” dell’amministrazione che in qualche modo abbia ingenerato un affidamento (DICITURA COPIATA DAL GIUDICE NELLA SENTENZA A MIO SFAVORE) come se questa derubricazione potesse, in qualche modo “assolvere” il funzionario che ha firmato il nulla osta che, in ogni caso, ha agito in nome e per conto di Roma Capitale.
Agganciandomi dunque a quanto dagli stessi specificato, è doveroso precisare che la sentenza n. 8236 del 2020 delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione enuclea una nuova categoria di danno risarcibile nell’area dei pregiudizi ricollegabili all’esercizio della funzione amministrativa. Si afferma, dunque, la (astratta) predicabilità di un illecito (risarcibile) commesso dall’amministrazione con il proprio comportamento, sfociato in un provvedimento (negativo) la cui legittimità non viene posta in discussione. In tale circostanza dunque, la fattispecie evoca quella del danno precontrattuale: vale a dire la materia della tutela risarcitoria dell’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili (la stessa motivazione richiama in proposito l’art. 1337 fra le disposizioni che costituirebbero il fondamento del dovere di correttezza procedimentale dell’amministrazione). In altri termini, i comportamenti, che si collocano nell’ambito dell’azione autoritativa della p.a., possono avere una duplice natura:
– vi sono dei comportamenti indispensabili al raggiungimento del risultato, cioè funzionali all’esercizio di un determinato risultato e per i quali l’amministrazione, o chi per essa, è libera di scegliere la forma, quale diretta espressione della sua discrezionalità nel raggiungimento del fine descritto dalla norma attributiva del potere.
– vi sono, però, poi, altri comportamenti che si pongono in relazione all’esercizio del potere, ma che sono solo “serventi” ad esso; cioè che non rappresentano una delle forme descritte dalla norma per l’esercizio discrezionale del raggiungimento del fine, ma sono solo delle condotte, degli atteggiamenti (dei meri comportamenti) che l’amministrazione tiene nei confronti del privato, nell’ottica di “quel dialogo trasparente” tra p.a. e cittadino, tanto anelato dal diritto amministrativo moderno. Ed è qui che si colloca l’insieme delle regole e comportamentali della p.a., perché il principio di buona fede “non rappresenta il fine” della pubblica amministrazione, ma “il modo” per raggiungere il fine.
Ne consegue, in termini di riparto di giurisdizione, che al giudice della funzione amministrativa, devono attribuirsi tutte le domande di risarcimento che si pongano in rapporto di causalità con l’esercizio del potere pubblico (legittimo o illegittimo); mentre resta riservato al giudice ordinario il risarcimento dei danni provocati da “comportamenti” della p.a. che non trovano rispondenza nell’esercizio del potere e che, dunque, hanno dei riflessi in materia civilistica o addirittura penalistica.
Da tale impostazione, è evidente che la responsabilità da comportamenti interlocutori “non essenziali” alla finalità dell’esercizio del potere – quali ad esempio rassicurazioni (fornite dal Comune al momento dell’acquisto di fondi, aree immobili,) pareri favorevoli e consigli dati per posta elettronica – non sono espressione di un potere autoritativo della p.a., pur collocandosi in un complesso procedimentale. E dunque, sfuggono dalla giurisdizione esclusiva provvedimentale di cui all’art. 133, lett.f), cpa.
Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione.
In altre parole chiedo e confido nel giudizio del Tribunale affinchè mi venga risarcito il danno subito
identificato in:
a. Acquisto di un immobile viziato da vincoli, precisando che, oltre al vincolo sul prezzo massimo di
cessione (che può essere rimosso con l’affrancazione), resta il vincolo del diritto di, in virtù del
quale l’immobile passerà di proprietà al comune alla scadenza dei 99 anni senza alcun corrispettivo
a favore del titolare. In assenza del c.d. nulla osta comunale, avrei potuto rinunciare tale acquisto
al quale non ero più interessato nel momento che la questione superficie (non evidenziata nel
contratto preliminare) si è palesata, mentre, a causa del nulla osta comunale, tale rinuncia sarebbe
diventata quantomeno costosa e mi avrebbe esposto anche ad eventuali pretese, del venditore di
risarcimento di ulteriori danni.
b. Dispendio economico di spese legali;
c. Impossibilità di poter procedere ad una surroga di Mutuo (quindi beneficiando di tassi d’interesse
ben più bassi rispetto a quelli in essere nel settembre 2015) in quanto il valore del mutuo residuo è
ancora nettamente superiore al prezzo di massima cessione dell’immobile.
A tal proposito chiedevo il risarcimento almeno per il periodo settembre 2015 – gennaio 2020 (emissione determina per affrancazione), nonché di l’impossibilità di procedere alla vendita dello stesso alle stesse condizioni di libero mercato con le quali è stato acquistato con le garanzie, risultate errate,
di Roma Capitale e Notaio.
d. Danni biologici causati dal forte stress che la situazione mi ha provocato nel tempo (ho investito i risparmi di una vita).
Da qualche giorno, mi è stata notificata la sentenza della X Sezione del Tribunale Civile di Roma con la quale il sottoscritto viene condannato a risarcire le spese legali al Comune di Roma ed all’Agenzia Immobiliare per circa 3.300,00 euro per ciascuno, guarda caso PROPRIO A COLORO CHE 4 ANNI FA’ NON SI SONO PRESENTATI IN MEDIAZIONE OBBLIGNADOMI DUNQUE A PROCEDERE NELL’ANDARE A GIUDIZIO SOLO ED ESCLUSIVAMENTE PER TUTELARE UN MIO DIRITTO.
Con tale sentenza non è stato tenuto conto di quanto rappresentato in sede processuale circa:
1. L’agenzia immobiliare mi ha proposto dapprima un bene in intera proprietà e privo di ogni vincolo, senza conoscere la normativa in merito di diritto di superficie né tantomeno la sentenza della suprema corte;
2. Il notaio, ovvero colui che ho pagato al fine di poter dare genuinità al mio atto di compravendita e rivestente la qualifica di Pubblico Ufficiale, ha comunque rogitato DOPO LA SENTENZA 18135;
3. Il Comune di Roma ha messo un Nulla Osta totalmente illegittimo e dichiarandone al suo interno il FALSO.
Soprattutto non è stato tenuto conto della condotta del sottoscritto che ha sempre evitato di speculare sulla questione, tanto che appena il venditore si è “convinto” , letta la 138/2018, a pagarmi l’affrancazione, ho subito proceduto a trovare un accordo extra giudiziale e tirarlo fuori dal contenzioso in atto!
Dunque in nome del popolo italiano il sottoscritto viene condannato per aver acquistato, dopo la sentenza della suprema corte (che rimarcava semplicemente una norma da sempre esistente ovvero la 865/71), un immobile a prezzo di libero mercato che il giorno dopo la compravendita valeva la metà, tutto ciò perché il COMUNE DI ROMA ha emesso un nulla osta con il quale DICHIARAVA CHE LO STESSO ERA LIBERO ED ALIENABILE SENZA NESSUNA IMPOSIZIONE SUL PREZZO;
L’AGENZIA NON SAPEVA CHE L’IMMOBILE ERA UN DIRITTO DI SUPERFICIE ED IL RELATIVO VINCOLO SUL PREZZO;
IL NOTAIO HA AVALLATO SOPRATTUTO IL COMPORTAMENTO DEL COMUNE DI ROMA, CHE CON UN VERO E PROPRIO RAGGIRO (LEGALIZZATO DAL NOTAIO) HA PORTATO IL SOTTOSCRITTO A NON AVERE UNA SITUAZIONE CHIARA DELLA REALTA’ A FRONTE DI UN INVESTIMENTO DI RISPARMI DI UNA VITA.
Ho anche rappresentato, in più occasioni, L’impossibilità di richiedere una surroga di mutuo in quanto il valore del mutuo residuo è superiore al valore dell’immobile, almeno fin quando non è stata pagata l’affrancazione, dovendo sottostare a tassi di interesse molto alti e non aggiornati a quelli attuali. In questo caso non parlo di violazione di diritto ma in ogni caso di preclusione di una possibilità a risparmiare, circa 70 euro mensili sul piano di ammortamento per ulteriori 25 anni residui.
Alla luce di questo mi chiedo come sia possibile che nella sentenza a me attribuita si giustifichi il comportamento degli uffici capitolini circa l’emissione del nulla osta in quanto emesso prima della sentenza 18135 del 16.09.2015, menzionando nella sentenza stessa l’orientamento della Suprema Corte del 2000 e 2011 ovvero la contrarietà alla permanenza del vincolo (SULLA CONVENZIONE EDILIZIA E’ PALESEMENTE SPECIFICATO) e soprattutto specificando, almeno come sostenuto dal Sig. Giudice, che nessun titolo lega me stesso con il comune di Roma relativamente alla compravendita, dovendo escludere che il nulla osta stesso possa assumere formale provvedimento della P.A. inteso quale manifestazione di volontà adottata all’esito di un procedimento amministrativo e volta a perseguire un interesse pubblico (EPPURE QUEL DOCUMENTO E QUEL PROTOCOLLO SONO SUL MIO ATTO DI COMPRAVENDITA QUALI ELEMENTI FONDAMENTALI PER PROCEDERE AL COMPIMENTO DELLA STESSA).
INOLTRE IL DOCUMENTO IN QUESTIONE VIENE RILEVATO DAL Sig. Giudice quale OFFERTA DI UNA PROPRIA INTERPRETAZIONE DELLA NORAMTIVA IN MATERIA DI PREZZO MASSIMO, dovendo escludere alla P.A. mancanza di correttezza o buona fede.
Sull’Agenzia Immobiliare invece viene specificato che la stessa non era tenuto a svolgere particolari indagini se non a seguito di un formale incarico ricevuto (MI DOMANDO QUANDO TI AFFIDI AD UN’AGENZIA IMMOBILIARE PER ACQUISTARE UN IMMOBILE PER QUALE ALTRO MOTIVO LO FAI SE NON PER STARE TRANQUILLO ANCHE SU EVENTUALI VINCOLI OD OSTACOLI INERENTI LA COMPRAVENDITA E LA GENUINITÀ DI UN IMMOBILE).
Non potevo dunque richiedere in ogni caso, a dire del Sig. Giudice, particolari richieste di indagine, all’Agenzia Immobiliare, inerenti complesse questioni di diritto!
La colpa del notaio, secondo il giudice, è ravvisata in caso di inosservanza di orientamenti consolidati della Suprema Corte e non nei casi di contrasto interpretativo o addirittura se nei casi in cui l’orientamento interpretativo sia difforme dalla condotta di quest’ultimo. Adesso, secondo il giudice, il notaio essendo qualificato quale operatore del diritto, lo stesso doveva adoperarsi affinchè verificasse l’emanazione della predetta sentenza (18135) o quantomeno prospettasse la pendenza della questione ma siccome il Consiglio del Notariato si era riunito il 1° ottobre, quindi il giudice giustifica il notaio dicendo che non si può far riferimento a dolo o colpa grave. ASSURDO!
Alla luce di tutto questo ed in virtù del fatto che l’unico a pagare sulla vicenda sono solo ed esclusivamente io, che vivo di stipendio e mi trovo a pagare un totale di circa 9.600,00 di spese legali per gli avvocati del Comune di Roma e dell’Agenzia Immobiliare, solo per aver tentato di tutelare i miei diritti, violati a causa di quanto avvenuto, mi aspettavo anche solo una compensazione delle spese tra tutti i convenuti e non un onere del genere solo in capo all’anello più debole della catena. Perché il notaio si paga le proprie spese legali mentre io devo pagarle all’Agenzia ed al Comune, proprio a coloro i quali che non si sono presentati al tentativo di mediazione 4 anni fa?
Questa sentenza, a mio avviso, è strumentale affinchè si demoralizzino tutti coloro i quali si ritrovano nella mia stessa situazione, dando dimostrazione di cosa può avvenire ad un semplice cittadino ed inducendoli a non mettere in atto contenziosi di questo tipo.
La sentenza in questione è uno strumento di tutela della classe notarile e degli uffici comunali, in cui i dirigenti hanno dato prova di non aver alcun interesse sull’altrui cosa, stante anche la mancanza di certezza della pena.
La sentenza in argomento è solo uno strumento di tutela dei poteri forti, contrastando anche quando specificato dalla Legge 138/2018 che impone sì, il principio di ragionevolezza nell’irretroattività, ma che sinceramente in un giudizio del genere non trova collocazione. La ragionevolezza non è il far pagare il più debole, forse sarebbe stato il far cessare il contenzioso esaminando i vari passaggi delle controversie e tutelando il concetto di Stato di Diritto in cui il cittadino che NON HA SBAGLIATO non paghi le conseguenze di una mala gestio affidata all’incompetenza ed alla superficialità di dirigenti pubblici e notai. Il principio di ragionevolezza sarebbe stato ad esempio la compensazione tra tutte le parti delle spese legali!
Una sentenza di questo tipo autorizza comportamenti superficiali di Dirigenti Capitolini, Notai ed Agenzie Immobiliari senza considerare l’importanza di operazioni economiche che, per una famiglia normale, potrebbero trasformarsi in veri e propri disastri in cui l’unico appiglio è solo la Legge sulla quale si dovrebbe basare il nostro Tricolore!
I dirigenti pubblici che hanno emesso negli anni i famosi nulla osta sono, in virtù di queste sentenze, graziati nell’aver prodotto, negli anni, danni erariali ingenti con l’emissione di atti autorizzativi alla compravendita senza far incassare alle casse comunali, così come previsto dalla Legge 865/1971, il previsto canone di affrancazione, danno non quantificabile per quanto esteso ed ingente!
VI CHIEDO SCUSA PER ESSERMI DILUNGATO! STO PENSANDO SE ANDARE O MENO IN APPELLO MA SINCERAMENTE NON MI SENTO PIU’ TUTELATO E NONOSTANTE SONO UN UOMO DI LEGGE, HO PAURA CHE STAVOLTA NON POSSA TROVARE LA SOLUZIONE GIUSTA AFFINCHE’ SIA TUTELATO IL DIRITTO DI UNA PERSONA O QUANTOMENO QUEST’ULTIMA NON SIA PUNITA SOLO PER AVERCI PROVATO.
CONTATTERO’ GLI ORGANI DI STAMPA E MI AUGURO CHE QUALCUNO POSSA CONTATTARMI PER TROVARE UNA SOLUZIONE A QUESTO SCHIFO!
GRAZIE